Dal nostro inviato MASSIMILIANO SCHIAVONI
Applausi convinti, commenti entusiastici e Coppa Volpi come miglior attore per Michael Fassbender. Questa è stata l’accoglienza a Venezia 2011 per Shame, opera seconda di Steve McQueen, autore britannico che si fece notare nel 2008 per Hunger, mai distribuito in Italia, ma apprezzato internazionalmente. Perciò da Shame ci si aspettavano grandi cose, e così è stato. Un’opera intensa, appassionante, a suo modo pure commovente. La storia di una solitudine senza apparente uscita, a cui dà corpo, volto e tormento Michael Fassbender. “Il mio è anche un film politico – ha dichiarato in proposito McQueen – Il protagonista, Brandon, è un esempio di com’è cambiata la nostra vita nel mondo attuale. Di com’è cambiato il nostro modo di vivere il sesso. Brandon è il frutto di un contesto politico-emotivo. Non è un essere repellente, è uno di noi. E’ riconoscibilissimo nella società di oggi”. Assumendosi molti rischi (un soggetto simile si piegava a letture tremendamente moralistiche o didascaliche), McQueen compone con sobrietà e partecipazione, un ritratto a tutto tondo di un uomo sessualmente ossessivo-compulsivo che lotta disperatamente tra irrefrenabile impulso e immagine pubblica. Da cui la shame, la vergogna che regola il suo mondo.
Dopo un incipit da brividi per intensità audiovisiva (10 minuti di ripetizione ossessiva delle azioni quotidiane di Brandon ben sostenuti dal commento musicale), McQueen pedina il personaggio senza mettersi fretta, espungendo anzi alcune situazioni di comico secondo un particolarissimo e mutevole mood generale, che svaria senza intoppi da toni brillanti e un po’ cinici al dramma più straziante. Le performance di Fassbender e di Carey Mulligan (nei panni della sorella Sissy) sono ammirevoli per misura e dedizione al ruolo. Niente suona fasullo, né tantomeno puzza di scandalo preannunciato e preparato a tavolino. Il sesso è trattato in modo onesto e antispettacolare, con un tale disperato abbandono da riverberare in un insostenibile dolore dell’anima. “E’ un film sulla libertà – ha detto ancora McQueen – Avere una totale libertà a disposizione può tramutarsi in una prigione”. Ma più che le parole dell’autore, va detto che è il film a dare le spiegazioni migliori, specie a proposito dell’esperienza della gabbia psico-fisica di Brandon, vero fulcro della vicenda. Forse con McQueen sta nascendo un nuovo, grande autore. Speriamo.
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