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Chiuse la sezione Orizzonti a Venezia 6 anni fa, Quijote, il primo film dello scultore e pittore Mimmo Paladino, che arriva in sala grazie all’impegno della Distribuzione Indipendente. E in effetti è una delle sfide più ardue del loro listino, questo film d’arte onirico e immaginifico che rilegge il celebre poema di Cervantes. L’opera segue la traccia delle imprese di Don Chisciotte e Sancho, tra lotte, ideali e delusioni e le contamina con l’arte contemporanea, con le pause poetiche e filosofiche, con citazioni ed estratti da Joyce e Bergman, con Remo Girone nei panni della morte. Definito docu-fiction d’arte, in realtà il film, scritto dal regista con Corrado Bologna, è un prodotto artistico a 360° che mescola le influenze di Paladino con gli artisti che egli stesso ha influenzato, Carmelo Bene e Ciprì e Maresco.
Il film diventa così come una macro-installazione – e infatti fu creato per una mostra dedicata a Cervantes – che segue il viaggio funebre di personaggi che si confrontano con la sconfitta dei propri ideali e delle proprie visioni, forti però di un’anima e di uno spirito che non muoiono, che sopravvivono al nostro corpo. Echi, contributi (Kounellis) e suggestioni si susseguono senza sosta in un film che, come Chisciotte contro i mulini a vento, si getta a capofitto nella (disperata) impresa di scuotere o almeno incuriosire lo spettatore comune. Forse ne esce, anche lui, con le ossa rotte, ma con la testa alta di un film fatto di poesie (Sanguineti), parole, luoghi, scene, voci: come quella avanguardista di Lucio Dalla, di cui il film può sembrare un omaggio, un ultimo tributo. Ma sarebbe fargli un torto, non dimenticando invece la sua forza visionaria (fotografia di Cesare Accetta) che lo rende una mosca bianca all’interno del cinema d’arte – se ne esiste uno – italiano.
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