Dov’eravamo rimasti? Ah, sì. Wallace&Gromit – La maledizione del coniglio mannaro. Era il 2005 ed era la Aardman Animations di Peter Lord, il laboratorio d’animazione britannico tra gli artefici del ritorno d’interesse per la stop motion e la modellazione dei personaggi in analogico. Lord non era altro che produttore, il regista era invece Nick Park, l’inventore del fortunato duo uomo-cane che ha portato la Aardman alle grandi coproduzioni internazionali, alle vette del box office, fino alla soglia dell’Academy di Hollywood. Lord torna a dirigere un film in stop motion (a dodici anni dal primo successo internazionale Galline in fuga), prodotto insieme alla Sony (alleata anche nell’ultimo Il figlio di babbo Natale) e codiretto con Jeff Newitt, animatore accanto a lui da più di dieci anni e qui all’esordio nella regia di lungometraggio.
Come sempre, utile far notare la distanza tra il titolo originale e la mesta rimasticazione nostrana: “briganti da strapazzo” in originale suonava “band of misfits”, qualcosa di approssimativamente vicino a “banda di disadattati”. Altra nota dolente del passaggio dalla versione originale a quella tradotta, il doppiaggio: il protagonista – affidato in originale a Hugh Grant – ha la voce di Christian De Sica (già funestatore di Galline in fuga, primo lungometraggio della Aardman Animations), e il personaggio della Regina Vittoria gracchia sguaiatamente grazie alle corde vocali di Luciana Littizzetto, mentre nella versione angolofona è nientemeno che Imelda Staunton a modularne la vocetta stridula.
Tutto questo solo per sgombrare il campo dagli inutili impicci con i quali la distribuzione italiana ha voluto intralciare il passo di un agilissimo, rapidissimo, divertentissimo piccolo concentrato di sagacia. Pirati! Briganti da strapazzo gioca al tavolo della roulette postmoderna con l’arguzia e la classe dei britannici. Così una ciurma di pirati cerca tesori non per dominare i mari ma per vincere un contest da bucanieri; Charles Darwin non è un illustre scienziato ma un povero studioso da mezza tacca, alla disperata ricerca di conquiste femminili; il trend è chiacchierare a vanvera su scontri improbabili tra Frankenstein e Dracula e Jane Austen non è che una frequentatrice di pub. Se dietro ci fossero stati Spielberg e i suoi sarebbe stata solo l’ennesima grossolana parodia costruita tagliando e cucendo luoghi comuni e citazioni dalla cultura popolare. Invece Lord tesse merletti quasi troppo fini per esser colti dentro il ritmo febbrile di un film di quasi un’ora e mezza che sembra durarne meno di una, giocando soprattutto con la storia e la cultura che conosce meglio (quelle britanniche), ma riuscendo a tradurle senza troppo semplificarle per un pubblico vasto e attento.
God save the… Lord.
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