Altri ottimi spaventi vengono dalla Spagna, con l’ausilio stavolta di forze creative colombiane. Mentre in America, sul versante thriller/horror di consumo, si è giunti a un deprimente esaurimento della vena creativa, da qualche anno in Spagna si cercano nuove vie alla paura, mai scissa da un’indagine, più o meno riuscita, nei territori più tetri della psiche umana. Andi Baiz, autore del film, nasce in Colombia e divide la sua formazione cinematografica tra Europa e Sudamerica. E La verità nascosta (consueto, pessimo titolo italiano per l’assai più ambiguo La cara oculta, la “faccia nascosta”, il “lato oscuro”) trova buona parte della sua ambientazione in un’immensa e inquietante magione di Bogotà. Il film è più che imperfetto, squilibrato com’è tra un inizio promettente, una parte centrale notevolissima, e uno scioglimento inutilmente affrettato. Ma è altrettanto evidente la maestria nel giocare con le convenzioni di genere, a partire dai consumatissimi giochi di scomposizione e ricomposizione del materiale narrativo. Stavolta, infatti, non si assiste ai più triti e meccanici stratagemmi di “ribaltamento” a cui il cinema di genere ci ha ormai abituati da quasi vent’anni, bensì a un racconto che con maturità di scelta narra due volte la stessa storia, giocando sapientemente sul punto di vista, sul “vedere” come atto di violenza (auto)inflitta, e, in senso ultimo, sul “vedere” metacinematografico, che per Baiz si profila come altrettanto sadomasochistico (già Shakespeare, a suo tempo, sollevò illuminanti riflessioni sul corto circuito psico-estetico della rappresentazione, allora solo teatrale…). Certo, ci vuole un viscerale atto di forza e fiducia da parte dello spettatore per accordare la sua credulità quando, a un terzo del film, un colpo di scena sposta l’asse visivo su un altro personaggio, tanto è forte la sproporzione tra causa ed effetto che spinge uno dei personaggi a un’azione di stupidità siderale. Ma, a ben vedere, anche questo si accorda al tono narrativo del film, tanto glaciale quanto ghignante, perfido e crudele.
Tralasciando le grandi verità sulla gelosia che lo stesso Andi Baiz proclama come brillante (?) contenuto della sua opera, La verità nascosta si mostra invece come un ottimo gioco cinematografico, che, se solleva qualche intelligente domanda, lo fa più in ambito strettamente metadiegetico che in ambito umano. Elegante, benissimo girato e montato, ben interpretato soprattutto dalle due protagoniste (Martina Garcia e Clara Lago), e avvolto in una confezione di alta professionalità che si mangia in un sol boccone le varie presunzioni hollywoodiane. Gli elementi classici del genere ci sono tutti, ma riletti in una chiave del tutto personale, a cominciare dall’utilizzo del “colpo di scena”, che qui assume la funzione di spostamento del senso e di rilancio narrativo. Il film riparte almeno tre volte, passando dal thriller d’ambiente (rumori, strani cerchi nell’acqua, presunti fantasmi) a un razionalissimo horror psicologico. Per finire, poi, con un rimpallo di vendette. Peccato per il finale, in cui Baiz sembra spaventato dal suo stesso talento e ripiega in un umile scioglimento di bassissimo profilo. Ma la stoffa c’è. Il ragazzo si farà.
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