Quando tutto il possibile per sfruttare commercialmente una saga è già stato fatto, uno ricomincia da capo, e s’inventa la riedizione in 3D. Come logica consiglia, a uscire per primo non è il capitolo più vecchio (il IV episodio), ma quello che dà inizio all’epopea (il primo, appunto). L’ufficio stampa, ai giornalisti accorsi alla proiezione, non ha concesso neppure uno striminzito pressbook. D’altronde perché avrebbe dovuto? Così non è rimasto che sedersi in poltrona, indossare gli occhialini e godersi l’ennesima visione del film – per molti un testo sacro da recitare a memoria – tentando di conservare un minimo d’allerta rispetto alla qualità visiva. Inutile star qui a ridire di uno dei meno completi e compiuti capitoli della saga, delle sue buone qualità spettacolari, del suo fascino di momento di fondazione, della raffinatezza di alcune scelte di regia e, al contrario, della grossolanità di alcune soluzioni di scrittura (i lazzi e le battute irridenti all’infelice personaggio di Jar Jar Binks e alla nazione dei gungan ancora perseguitano le orecchie del povero Lucas, che povero, come si sa, non è affatto): non resta molto altro che una piana esposizione delle note al margine d’una visione d’appassionati.
Dopo aver assistito ai leggendari titoli di testa che scorrono inclinati in mezzo al vuoto spaziale costellato di punti luminosi, collocati per la prima volta dentro uno sfondo “sfondato” dal 3D, si capisce presto che l’operazione spudoratamente commerciale non è stata messa in atto senza una qualche forma d’acume. Non tutte le scene e nemmeno tutti gli oggetti che compaiono nelle inquadrature del film infatti sono stati sottoposti alla moltiplicazione necessaria per ottenere l’effetto stereoscopico: alcuni totali ampi, alcune scene di duello, diverse delle scene in interni – tolti per un momento gli speciali occhiali con lenti polarizzate – non mostrano alcuna traccia di postproduzione 3D. Il risultato è che se da una parte l’apporto della nuova tecnologia non si fa sentire in modo pesante, dall’altro la riedizione del film gioca tanto sull’arricchimento spettacolare delle scene d’azione e di battaglia quanto sull’amplificazione degli effetti emotivi dei numerosi dialoghi. Unico, inatteso effetto collaterale del processo, una più che sensibile perdita di qualità dell’immagine in molti tratti del film. Oltre il mero resoconto degli esiti tecnici – ma siamo ben consapevoli che ci vorrebbe molta più competenza e forse anche qualche visione ulteriore per un’analisi più soddisfacente – sta la meraviglia della scoperta di dettagli fino a oggi ancora mai notati. L’accuratezza della maschera di uno spettatore seduto nel grande autodromo dove corrono gli sgusci, l’eccentricità coraggiosa e giusta dei costumi dei passanti che si muovono sullo sfondo dell’affollata via principale del villaggio su Tatooine, la sorprendente precisione di alcune delle strutture costruite in digitale, ma anche la goffaggine quasi commovente di qualche effetto collage qua e là, quando attori in carne e ossa e creature sintetiche nuotano insieme sott’acqua, o cadono sotto l’avanzata di un’armata fluttuante. La domanda in fondo è una sola: vale tutto questo il caro prezzo di un biglietto maggiorato? Per chi scrive, purtroppo, la risposta è no.
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