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Commedia pervasa da un’insopprimibile ossessione erotica, dramma esistenziale animato da personaggi inquieti, Gli sfiorati di Matteo Rovere è una pellicola dalla difficile classificazione, distante dai codici dell’imperante comicità seriale e corriva, e che ha il coraggio di lasciare aperte le sue ambiguità e quelle dei suoi personaggi. Opera seconda (dopo lo sfortunato Un gioco da ragazze) di Matteo Rovere tratta dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, Gli sfiorati racconta, senza ombra alcuna di prurigini moraleggianti, il sorgere di una passione proibita: quella tra Mète (Andrea Bosca) e Belinda (Miriam Giovanelli), che condividono lo stesso padre. Lui è un grafologo dalla vita precaria ma ordinata, almeno questo crede, lei una sorta di “Grande Lebowski” al femminile, che trascorre le sue giornate in mutande, davanti alla Tv, fumando spinelli e bevendo birra. La convivenza forzata dovuta al matrimonio imminente dei genitori di lei farà implodere tutte le certezze di Mète, costringendolo a fare i conti con la propria ineludibile imperfezione.
Incoerenti, pigri, ambigui e ontologicamente distratti, gli “sfiorati” sono una specie assai diffusa, ci viene detto, e la loro sintomatologia, oltre che varia, è altamente contagiosa. L’idea alla base del film è dunque foriera di numerosi sviluppi, ma lo script non sembra in principio darvi molto peso, lasciando scorrere sotto i nostri occhi la quotidianità di personaggi senza direzione. Sarà l’eros a far esplodere la situazione, rimettendo in discussione tutto e agendo per i personaggi come il punto di fuga in una prospettiva non proprio rettilinea. Sembra a tratti che proprio le argomentazioni alla base del romanzo costituiscano per il film una zavorra, come dimostra la sequenza in cui il personaggio di Bruno, il collega e amico del protagonista incarnato da Claudio Santamaria, intraprende un discorso sull’effimero, la grafologia, la “sfioratezza” che proprio non funziona e al quale lo stesso interprete sembra credere poco. Se si eccettuano però i “grandi temi esistenziali” prelevati dal romanzo, la pellicola decolla grazie alle mai banali scelte di regia di Rovere e a una galleria di personaggi vivi e pulsanti. L’impianto corale, ben orchestrato dall’autore, ci presenta infatti una serie di ruoli, tutti ampiamente approfonditi e realisticamente incoerenti. Il cast affiatato, capitanato dall’irrequieto e sensibile Andrea Bosca e impreziosito da un’esilarante Asia Argento e un ipercinetico Michele Riondino, fa il resto. Rovere recupera inoltre a sopresa alcuni codici dell’immaginario della nostrana commedia scollacciata e lo fa in graziosi intermezzi onirici pervasi di un erotismo ludico, mai banale, scevro di prurigine e che non ha bisogno alcuno del 3D per stuzzicare lo spettatore.
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