“Abbiamo scelto alcuni giornalisti, scrittori magistrati che lavorano e hanno, in alcuni casi, denunciato il malaffare e le collusioni nel nostro paese perchè potessero interfacciarsi con quelli che sono i contenuti della filmografia di mio padre” afferma Carolina Risi per spiegare qualcosa della struttura di base del documentario Citizen Rosi, girato con Didi Gnocchi e presentato Fuori concorso alla 76esima Mostra del cinema di Venezia. In molti casi come in quello di Roberto Saviano con Le mani sulla città e di Livio Abbate con Salvatore Giuliano visto a scuola, l’incontro con il cinema di Rosi e il suo impegno civile è nato in tenera età, “il cinema di mio padre è come se fosse nato dentro di loro”.
Nelle sale per Istituto Luce e poi trasmesso successivamente su Sky arte, il doc non vuole essere un tributo al regista che odiava l’idea di un documentario celebrativo ma l’idea è stata quella di privilegiare l’aspetto civile e morale del suo cinema per riflettere sull’oggi con testimoni del nostro tempo (presenti anche registi come Tornatore, Tullio Giordana, Andò) e Gnocchi e Rosi riescono nell’operazione creando un flusso che stimola lo spettatore a seguire l’evolversi della narrazione, a riflettere sulle pagine torbide del nostro passato più recente e, come capita con molti film del regista, a indignarsi. Torna anche l’invito ad essere cittadini vigili in una democrazia da sempre inquinata dalla corruzione ed emozionano i brevi passaggi che mostrano Roberto Saviano seduto accanto a Francesco Rosi, appuntando le riflessioni del cineasta tanto stimato.
Un doc che intreccia i piani narrativi, svelando anche quello privato e non sono cinematografico del regista con la figlia che si muove nel suo studio e con il regista dialoga proprio nell’idea di preparare questo film. Affascinante quando in dettagli, tra le pagine di Carolina, ci sono i ritagli di giornale conservati per preparare un soggetto, le pagine di sceneggiatura corrette, le foto preparatorie dai quali si evince l’enorme lavoro di ricerca compiuto prima di accendere la macchina da presa sul set. Il rigore e la passione. Carolina precisa nella nostra intervista: “Rosi non ha mai sprecato un metro di pellicola, era un uomo che quando arrivava sul set sapeva esattamente come sarebbe stato il suo film”.
Il cinema di Rosi dovrebbe arrivare nelle scuole di tutta Italia già ai ragazzi di 13-14 anni e il doc di Gnocchi-Rosi ne potrebbe/dovrebbe essere il tassello finale che mette in relazione il cinema di Rosi con il nostro presente.
giovanna barreca