Il prossimo 31 ottobre ricorrerà il ventennale della morte di Federico Fellini. Molte saranno sicuramente le iniziative e gli omaggi realizzati in memoria del maestro del momento più caldo del cinema italiano. Uno di questi, che uscirà nelle sale distribuito da Bim e Istituto Luce, è realizzato dall’amico Ettore Scola, Che strano chiamarsi Federico! – Scola racconta Fellini, di cui sono state appena ultimate le riprese e che è in fase di montaggio. Un titolo emblematico, omaggio ad un verso di un altro Federico, Garcia Lorca, che racconterà gli anni giovanili di entrambi i registi italiani, ma sotto il punto di vista del più giovane Scola attraverso materiali di repertorio, interviste, una voce narrante (dell’attore napoletano Vittorio Viviani) e in particolare ricostruzioni nello stile, sembrerebbe, di una docu-fiction. Anni che comprendono la loro comune – ma in tempi diversi – partecipazione al giornale satirico Marc’Aurelio, che nel 1939 quando Fellini vi mise piede per la prima volta si respirava un’aria di sottile dissacrazione al fascismo anche se come d’obbligo non poteva trasparire ufficialmente. Come ricorda lo stesso Ettore Scola infatti “lo scopo del Marc’Aurelio era far ridere, intervenire sulla realtà, fare in qualche modo, anche se non si poteva, una critica al fascismo”. E poi quelli della dolce vita, i bagordi notturni attraverso la città di Roma, fra bar, passeggiate in macchina, conversazioni, chiacchiere, con battone, pittori, barboni.
La vita notturna di Roma raccontata in tutta l’essenza di quegli anni, attraverso il suo sottobosco, differenze, aneddoti di una figura, quella felliniana, che è sempre stata considerata a torto lontana dalla politica italiana nelle sue opere. Scola nega ribadendo che “non è vero che Federico era nei suoi film apolitico, anzi era profondamente politico, odiava le ingiustizie e i soprusi anche nella vita …”. “Purtroppo”, continua il grande maestro del cinema italiano, “ha dovuto pagare anche l’accusa di essere maschilista.” La ricostruzione di episodi ed eventi della vita felliniana è stata realizzata in studio, proprio in quel Teatro 5 di Cinecittà che aveva dato vita a gran parte dei sogni onirici del maestro riminese, sede anche di due film di Scola fra quelli più noti, il malinconico La famiglia, che fu presentato, all’epoca della sua uscita, a Cannes e candidato agli Oscar come miglior film straniero, e il più ironico Il viaggio di Capitan Fracassa. Nella visita sul set organizzata dalla produzione di Che strano chiamarsi Federico! non sembra però di ritrovarsi nel mondo magico di quel periodo, di quel cinema; anzi passeggiare in quei posti trasmette un senso di malinconia, un effetto di decadenza e straniamento che ricordano più il senso di vuoto viscontiano che il cinema di Fellini.
Infatti è proprio un posto come Cinecittà che rappresenta al meglio la decadenza del cinema italiano, così come l’organizzazione di produzioni del genere, sempre attente ad omaggiare un passato che non c’è più, uno splendore lontano dalle logiche contemporanee; logiche che però si nutrono ancora di quel mondo come Roma lo fa delle rovine di un Impero ormai scomparso da tempo: cercando di raschiare il fondo del barile quando non c’è davvero più niente dentro. Capannoni museali, che certo si possono visitare. Anche il set di questo nuovo lavoro di Scola, che ha scritto insieme alle figlie Paola e Silvia, sarà aperto al pubblico fino al prossimo 23 giugno. La magia ha lasciato il posto ai silenzi, al grigiore di un posto che non ha vita, non ha anima, perché l’ha persa da molti anni. E la crisi economica, la crisi del Paese sembra ancora più evidente e lacerante alla visione di un qualcosa del genere. Il film però non lo abbiamo ancora visto e certo la prospettiva di una figura come Scola, che è tornato sul set dopo dieci anni di assenza, potrebbe essere interessante. Aveva abbandonato i set perché, come ha raccontato: “Per motivi politico-psicologici non avevo più voglia di fare cinema. Questo film che ho fatto in realtà non è né un film né un documentario”.
ERMINIO FISCHETTI