Laureatosi alla Roma Film Academy, Edoardo Bramucci decide di conoscere meglio l’esperimento dell’Accademia per l’integrazione di Bergamo che sta lavorando per cambiare la percezione che gli italiani hanno degli stranieri. Nasce così Nooh che, come da note di regia, è un corto che parla della paura di ciò che non conosciamo e che è tra i trenta cortometraggi presentati in concorso internazionale al Ca’Foscari Short film festival.
Protagonista è il piccolo Nooh che nella prima scena capiamo essere un piccolo clandestino arrivato nel nostro paese e rimasto orfano. Al momento della registrazione nel centro di accoglienza dove non vuole stare, decide di scappare via veloce. A supportarlo nelle sue azioni, soprattutto quando deve dimostrare più coraggio, c’è il suo supereroe immaginario.
La spiaggia che lo ha portato in Italia diventa la sua casa. Il bimbo si sente protetto e anche l’amicizia con la piccola Miriam, sua coetanea italiana, gli regala piano piano sempre maggior fiducia in sé stesso. Il mondo degli adulti però fa sempre molta paura al piccolo e, quando Miriam porta la mamma sulla spiaggia, tutto cambia.
Il pregio del cortometraggio è di lasciare entrare lo spettatore lentamente nell’animo del piccolo bambino che cerca di farsi tanto coraggio ma vive mille paure. Ne esce un ritratto puro, pieno di autenticità che commuove, anche perchè porta con sè tutta l’istanza urgente di attualità di questo preciso momento storico, vissuto in Europa e altri continenti.
Dall’intervista scoprirete anche il coraggio di Bramucci nel lasciare improvvisare i due piccoli protagonisti sul set, riuscendo a restituire allo spettatore tutta la genuità del gioco, della gioia nella scoperta dell’altro che è sempre più difficile vedere al cinema e che è il vero problema di chi guarda, con diffidenza, all’altro diverso da sé e crea steccati (e nel film è una madre che cerca di abbatterli).
Il film si aggiudica, durante la serata di premiazione, il premio “Pateh Sabally”, offerto dalla Municipalità di Venezia, Murano, Burano e dedicato alla memoria del ragazzo del Gambia tragicamente scomparso nelle acque del Canal Grande nel gennaio del 2017. La motivazione della giuria: “Nell’immaginario di un bimbo africano in un centro di accoglienza, si vive la tragica realtà delle vite sospese di chi è costretto a lasciare la terra d’origine e cerca rifugio in un mondo solidale. Quel mondo ancora non c’è. Oggi sembra ancora più distante. Sarà il gesto salvifico di una madre ad abbattere muri e a mostrare che, dovunque si nasca, è inviolabile il diritto alla vita. Sceneggiatura e fotografia ben si giocano per sostenere la giusta causa”.
giovanna barreca