Forse in pochi sanno che esiste una legge, o meglio una norma, chiamata Regolamento di Dublino che impone ai rifugiati politici di risiedere nella prima nazione d’ingresso in Unione Europea dove vengono prese loro le impronte digitali e dove sono costretti a presenta domanda d’asilo.
Ovviamente sono tante le domande in paesi come l’Italia e la Grecia che però diventano delle prigioni per tutti coloro che scappano da guerre e violenze nel loro paese natio. Paolo Martino in Terra di transito, presentato a Sguardi altrove film festival, in collaborazione con Amnesty International dà voce a Rahell e, grazie al giovane ragazzo iracheno, ai tanti coetanei provenienti dal Medioriente che, una volta scampati alla morte, si ritrovano in un paese che non offre loro alcuna opportunità.
Rahell è un ragazzo iracheno. La sua famiglia nel 1988, dopo la strage di Halabja, fuggì in Siria. Altri parenti invece raggiunsero la Svezia. Vista la situazione siriana, Rahell è partito nel 2010 sperando di potersi ricongiungere con la famiglia. Ma il doc denuncia questa possibilità negata e soprattutto la condizione dei tanti rifugiati nel nostro paese dove non gli viene negato il cibo e un misero contributo per sopravvivere (57 euro a fronte degli 800 dati dal governo svedese che obbliga anche a seguire un corso di lingua e un corso di orientamento lavorativo) ma una vera opportunità per integrarsi, per imparare la lingua, ottenere un lavoro e quindi contribuire al proprio benessere e a quello della comunità in maniera dignitosa.
“Perché il governo ci vuole indietro se non riesce a prendersi cura di noi?” è la domanda che ritorna più volte tra questi ragazzi costretti ogni giorno a far passare le ore in totale inerzia in un paese che per loro doveva essere solo una terra di transito. Rahell gira tra i giovani e le loro sistemazioni precarie, permettendo così alla macchina da presa di Paolo Martino di non risultare estranea o invasiva ma di vivere in maniera diretta e reale la situazione narrata. Grazie a Rahell tutto ciò che vede la macchina da presa, e quindi i suoi occhi, assume un valore diverso, mediato, più caldo e coinvolgente per uno spettatore ignaro. Rahell si pone delle domande, va in Svezia a trovare parenti integrati ormai da oltre vent’anni e amici che hanno ottenuto asilo e altri che preferiscono vivere da clandestini in Svezia pur di non tornare a parassitare in Italia.
Nelle ultime sequenze vediamo Rahell che raggiunge la stazione ferroviaria di Roma e passa tra i tanti uomini che dormono alle sue porte, coperti da cartone; l’interrogativo nello spettatore si fa più urgente come l’indignazione per norme che forse cercheranno di scoraggiare i più a raggiungere l’Europa ma che non risultano norme di civiltà. E la voce narrante lascia lo spettatore con il racconto di una favola dove un cane invita un lupo a diventare come lui, così da non dover più cacciare la preda e quindi rischiare di morire di fame. Ma il lupo, vista la medaglietta al collo del cane, declina l’invito preferendo la libertà a qualsiasi forma di sussistenza assistenziale. L’unica che al momento offre l’Italia, purtroppo.
Con Rahell Paolo Martino aveva già girato Just About My Fingers che raccontava la prima tappa europea del suo viaggio: la Grecia e come il ragazzo riuscì a lasciare il paese, nascondendosi su un camion. E come svela lo stesso regista ai nostri microfoni prima dell’incontro pubblico al quale stavano per partecipare: “Stiamo lavorando ad un terzo e grande progetto insieme”.
giovanna barreca