Essenza stessa del documentario è, in fase di creazione, il farsi guidare dagli eventi. Si crea un soggetto come per i film di finzione ma spesso ciò che accade sul campo porta altrove spingendo gli autori ad esplorare aspetti sconosciuti e neppure immaginati inizialmente. Ruben Lagattola voleva andare in Siria con Enea Discepoli per la mostra fotografica che avrebbe presentato i lavori dei giovani fotografi, reporter, media attivisti e, come si dice nel doc, “prima di tutto ribelli” di Halab News e dei bambini di Aleppo. Ma la guerra-morte cambiò le cose. La scuola venne distrutta prima del loro arrivo e così le vite dei piccoli alunni.
Il documentario Young Syrian Lenses di Ruben Lagattolla e Filippo Biagianti si è così trasformato in un viaggio per raccontare quelli che sono gli occhi e le orecchie dell’Occidente in questa terra ormai in guerra da quattro anni, cioè i media attivisti di Aleppo: i ragazzi di Halab News. Attraverso brevi interviste frontali con macchina fissa e, soprattutto, seguendoli sugli scenari del conflitto, nelle strade bombardate e tra uomini e donne senza più una casa ma solo macerie accanto alla quale continuare a vivere, i giovani media-attivisti raccontano come nelle persone e nei bambini la guerra sia diventata una situazione alla quale rassegnarsi; come abbia trasformato ogni incubo in una realtà accettata dai più. E lo stesso Lagattolla ai nostri microfoni ci parla di questo stato, del vivere anche l’idea della morte come una cosa normale. Una scena dal fortissimo impatto vede un ragazzo come tanti sul divano col cellulare in mano che tranquillamente risponde, scrive nonostante siano forti e vicini i colpi di mortai sulle strade accanto alla sua casa. E la telecamera lo racconta così, consapevolmente tranquillo.
Nel doc lo strumento di ribellione, lo strumento per agire, diventa la camera. Non a caso nel film – che crea immediatamente un rapporto empatico con lo spettatore, grazie ad un montaggio ben ritmato e ad una macchina a mano e ad inquadrature in campi medi e primi piani tra la gente, sulle strade, tra bombe inesplose e macchine accartocciate ai bordi delle strade – c’è una riflessione sul potere del linguaggio visivo come forma per agire. Un ragazzo, consapevole che la resistenza può essere portata avanti anche attraverso uno strumento potente come una macchina fotografica, ricorda che “vedere non è come raccontare”.
Il documentario prodotto in maniera indipendente dagli stessi autori è stato presentato in anteprima a Sguardi altrove film festival, nell’ambito della sezione “Diritti umani, oggi”. Patrocinato da Amnesty International sarà anche in concorso al Riff di Roma a maggio.
giovanna barreca