“I bambini non hanno sovrastrutture e, se il sentimento è puro e sincero, loro si nutrono di quello e su tale base si possono costruire dei rapporti profondi, intensi. Ci si cerca, si combatte e si nutre quell’amore e si arriva a livelli di rapporto che durano anche tutta una vita” dichiara Giorgio Pasetti, attore e ideatore di Mio papà, presentato stamane in Alice nella città al Festival Internazionale del film di Roma e in sala dal 27 novembre per Bea Distribuzione. Con Giulio Base che poi ha curato la sceneggiatura finale (con Alessandro Pondi, Paolo Logli, Mauro Graiani, Riccardo Irrera) e la regia – alla ricerca di una semplicità di stile che mettesse soprattutto in evidenza i rapporti umani che caratterizzano la storia -, i due attori/registi hanno attinto dalle loro esperienze personali di genitori per amore: genitori che hanno cresciuto e amato figli delle loro compagne; amato creature non nate biologicamente da loro. Pasotti è Lorenzo. L’uomo si innamora del bimbo di Claudia (Donatella Finocchiaro) anche se all’inizio viene respinto in maniera brutale. Un ragazzo che fa il sub, è libero e piuttosto schivo (al suo miglior amico dice che probabilmente sono ancora legati perchè passano tutta la giornata insieme sott’acqua senza parlare) che sceglie di costruisce passo dopo passo il rapporto con questo piccolo bambino (interpretato dal Niccolò Calvagna), fino a vivere con dolore ogni separazione.
L’opera girata nella Marche, sfrutta la suggestiva piattaforma a 800 metri dalla riva adriatica come luogo di lavoro di Lorenzo e come tappa fondamentale nel processo di avvicinamento e della sublimazione dell’amore con un figlio così fortemente voluto da un uomo che aveva troncato ogni precedente relazione che lo chiamasse ad impegnarsi in prima persona in tal senso.
Una storia sull’evoluzione della società alla quale la legislazione non sa ancora dare un nome e una giurisdizione per tutelare l’amore. Un film che denuncia l’arretratezza burocratica.
A Ninetto Davoli una partecipazione nel film per raccontare “l’orso” (questo il suo soprannome) e soprattutto la visione che spesso ha la società di oggi nei confronti delle famiglie allargate.
giovanna barreca