Ci sono autori che innervano di sé più media nello stesso momento, sia che essi appartengano alla letteratura, al cinema, a qualsiasi tipo di arte narrativa. Richard Matheson, scomparso oggi a 87 anni, corrisponde a questo profilo: una figura artistica non solo estremamente poliedrica, ma anche endemica a tutta una trans-cultura che parte dalla letteratura per attraversare poi cinema, televisione, fumetto, arti figurative. Matheson ha in tal senso caratterizzato buona parte della produzione fantasy e di fantascienza americana, a partire dai suoi racconti e romanzi che più volte sono stati tradotti in opere cinematografiche. Una delle sue più apprezzate, “Io sono leggenda” (1954) si è trovata al centro di una vicenda sugli schermi molto tormentata e singolare, tra progetti a cui lo stesso Matheson era stato chiamato a collaborare in sede di sceneggiatura, e altri sviluppati a prescindere dalla sua diretta partecipazione. Cosicché il romanzo vede al momento tre film compiuti di diversissima qualità, e un progetto della Hammer Film del 1957 che non vide mai la luce poiché l’adattamento approntato da Matheson non piacque ai produttori (e, curiosamente, anche uno dei migliori albi a fumetti di “Dylan Dog”). Le tre trasposizioni compiute, invece, costituiscono di per sé uno spunto di studio e approfondimento notevoli, per indagare quanto lo stesso testo letterario possa dare adito a riproduzioni cinematografiche tanto distanti: da un lato L’ultimo uomo sulla Terra (1964), una (sotto)coproduzione italo-americana di culto codiretta, forse solo “sulla carta”, da Ubaldo Ragona e Sidney Salkow, con Vincent Price protagonista in mezzo a una schiera di caratteristi di casa nostra. Poi, 1975: occhi bianchi sulla Terra (1971) di Boris Sagal, piuttosto impersonale e assai infedele rispetto al testo originario. Infine, il recente Io sono leggenda (2007) di Francis Lawrence, il blockbuster “d’autore” con Will Smith, che risulta per molti versi apprezzabile ma anche molto debitore dell’estetica mainstream americana. Insomma, tre film imperfetti, che testimoniano una diffusa difficoltà nella traduzione della narrativa di Matheson al cinema. Nessun film tratto dalle sue opere ha mai reso fino in fondo giustizia al suo universo creativo (basti pensare all’esecrabile Al di là dei sogni, 1998, di Vincent Ward, anch’esso tratto da un suo romanzo).
Più interessanti, invece, le collaborazioni dello stesso Matheson alle sceneggiature: di suo pugno furono infatti il soggetto e la sceneggiatura per il bell’esordio alla regia di Steven Spielberg, il leggendario Duel (1971), così come particolarmente fertile fu il rapporto con alcune delle serie televisive più di culto degli anni Sessanta: “Ai confini della realtà” (1959-1964) e “Alfred Hitchcock presenta” (1955-1962), per le quali scrisse soggetti originali o tratti da suoi racconti preesistenti. Con Hitchcock la collaborazione si rinnovò anche per Gli uccelli (1962), il cui copione però, per dissapori tra i due, fu poi sottratto alle mani di Matheson e affidato a Evan Hunter. Tuttavia, Matheson fu parte attiva di un’altra importantissima realtà produttiva americana, la factory di Roger Corman, per il quale scrisse numerosi copioni. Una materia narrativa, insomma, in continua fibrillazione tra un codice narrativo e l’altro. Resta comunque l’impressione che il cinema debba ancora dare alla luce il capolavoro ispirato alle opere di Matheson. Fondamentale punto di riferimento culturale, al centro di vicende cinematografiche però più “maledette” e tormentate che realmente efficaci.
MASSIMILIANO SCHIAVONI