Tra il 1989 e il ’91 il mercato editoriale italiano conosce un fenomeno senza precedenti: il magazine-fumetto horror SPLATTER. Diretto da Alfredo Castelli, ideato e coordinato da Paolo Di Orazio e Roberto Dal Prà, SPLATTER diviene un vero e proprio laboratorio per molti nomi in seguito affermatisi nel panorama dei comics italiani.
Nata per volontà dell’editore Silver (ACME) e di Francesco Coniglio, la rivista horror per eccellenza balza rapidamente agli onori di cronaca e arriva, oltre che sulle scrivanie di tanti amanti del cinema di genere, anche su quelle dei parlamentari di entrambi gli schieramenti che, di comune accordo, siglano un’interpellanza contro il fumetto più estremo mai esistito. Ma ora quella che è ormai storia la raccontano direttamente i protagonisti nel documentario SPLATTER – la rivista proibita, scritto da Sara Parigiani e Stefano Cavalli e diretto da quest’ultimo. Oltre a quelli già citati, prendono parte al documentario, con interviste inedite, anche Marco Soldi, Ferruccio Giromini, Paolo Altibrandi e tanti collaboratori dell’ultim’ora.
Perché SPLATTER, dopo la brusca interruzione nei primi mesi del 1991, ha vissuto un reboot: a distanza di quasi vent’anni, la Elm Street House fondata da Di Orazio e Altibrandi, riporta in vita il terrificante logo. Ancor prima, a grande richiesta, esce nelle librerie, con un’introduzione di Dario Argento, Tutto il meglio di SPLATTER (Rizzoli Lizard, 2013), un volume di 352 pagine a colori che racchiude al suo interno tutti gli albi della serie originale. Poi il ritorno nelle edicole, e su questo punto il doc di Cavalli termina eludendo lo sfortunato esito.
A colpire nel lavoro in questione sono le dichiarazioni di Castelli e Soldi: se il primo afferma di essersi ritrovato direttore responsabile (solo per amicizia) di un magazine che neppure suscitava il suo interesse, il secondo dichiara di aver dato vita a delle copertine divenute cult tra gli amanti del genere pur non essendo conoscitore o patito di horror. Un lavoro ricco di aneddoti e dichiarazioni di prima mano. Un documentario che merita d’essere visto.
Nico Parente