Un uomo che cammina per strada, un grande finestrone inondato di luce di un ospedale e la voce off di un ragazzo, il regista, che racconta di una serata con gli amici nel 2010 e della telefonata dall’ospedale che lo invita a presentarsi il giorno dopo perchè nelle sue analisi c’è qualcosa che non va. Con “l’inizio di giorni bianchi”, con il dover accettare di avere la leucemia mieloide acuta a meno di quarant’anni, inizia il diario di Lucio Viglierchio. Il suo documentario Luce mia, presentato al Torino film festival in italiana.doc, non è però il racconto del suo percorso nella malattia e successiva guarigione ma quello di una sorta di suo specchio, Sabrina. Lucio si è sentito ai confini della vita per anni anche se in casa una nuova vita (l’arrivo della figliola Nora) lo richiamava ad “esserci”. Quando, dopo il ciclo di chemioterapia Lucio decide di ricordare chi fosse prima della malattia e per farlo ritorna in ospedale, segue il percorso di Sabrina che inizia il suo stesso calvario ma che poi è costretta anche ad un trapianto.
Prima dalle loro esperienze nasce un blog per dialogare con quel mondo che viene tenuto fuori dalle mura asettiche dell’ospedale, video sono presenti su social e poi il progetto crowfounding per realizzare il documentario.
La piccola Nora nella pancia della mamma che inventa il titolo del film: lucemia/leocemia, Sabrina e Lucio sono il racconto di tre vite, per motivi diversi, dall’equilibrio precario che però tendono chi più naturalmente (Nora), che liberandosi dalle paure, ad un desiderio di vita a tutti i costi. Un rimettere le cose a posto. Il documentario parla di malattia ma trabocca di voglia di vivere in ogni fotogramma, di un “calore che scioglie l’inquetudine”.
giovanna barreca