Dopo 15 anni, un film italiano vince l’Oscar per il miglior film straniero: è La grande bellezza di Paolo Sorrentino che ha ricevuto dalle mani di Ewan McGregor e Viola Davis il premio assegnato dall’Academy. In palco, assieme al regista napoletano, un sorridente Toni Servillo, protagonista del film, e Nicola Giuliano, produttore. “Ringrazio le mie fonti d’ispirazione – ha detto Sorrentino – Federico Fellini, Martin Scorsese, i Talking Heads e Maradona“. Il film ha battuto due avversari temibili come Il sospetto di Thomas Vinterberg e Alabama Monroe di Felix van Groeningen, che lo aveva battuto qualche giorno prima ai César. Per il resto la notte degli Oscar numero 86 ha visto la vittorie di due film: 12 anni schiavo di Steve McQueen e Gravity di Alfonso Cuaròn.
Il primo ha portato a casa 3 statuette, tra cui però la più importante, ossia quella per il miglior film, assieme all’attrice non protagonista Lupita Nyong’o e all’adattamento, il secondo ben 7, su tutti quella per la regia di Cuaròn e poi per il montaggio, la fotografia, la colonna sonora (di Steven Price), gli effetti speciali, il montaggio e il missaggio del sonoro. Tra gli attori, trionfo maschile per Dallas Buyers Club che porta a casa i premi per il protagonista Matthew McConaughey e il non protagonista Jared Leto, mentre Cate Blanchett, la più elegante della serata, vince come protagonista per Blue Jasmine di Woody Allen. C’è gloria anche per Spike Jonze, la cui sceneggiatura di Lei è la migliore dell’anno per i membri dell’Academy.
E’ stata una premiazione all’insegna del previsto, in cui tutte le previsioni sono state rispettate senza eccezione alcune, fino al premio per il miglior film animato, vinto da Frozen; e su questo solco si è mossa anche la serata, in cui Ellen Degeneres ha patito la mancanza di autori degni di questo nome che riuscissero a creare un vero spettacolo televisivo, tanto da dover ripetere le stesse gag (le foto con gli attori, il cibo offerto alla platea) per tutta la serata. E anche il consueto spettacolo Made in Hollywood è stato clamorosamente sottotono, tra canzoni scivolate via (tranne la coreografia di Happy cantata da Pharrell per Cattivissimo me 2), troppe clip senza senso a scapito dell’emozionante momento In memoriam risolto (per prosaiche questioni di tempo) in una carrellata senza emozione di nomi. Alla faccia di uno show che ha premiato, nelle intenzioni, la grande bellezza del cinema e dell’industria del cinema americano.
EMANUELE RAUCO