I bambini osservano ogni comportamento degli adulti e trovano il modo per imitarlo, inconsapevoli degli errori di quelli che considerano uomini e donne invincibili. Per buona parte di Terre battue di Stéphane Demoustier non abbiamo ben chiaro perchè il regista segua un padre di famiglia che prova a reinventarsi un lavoro dopo vent’anni in un’azienda che lo licenzia per il cattivo fatturato raggiunto come manager. La macchina da presa pedina Jérome ma lascia ampio spazio alla vicenda del figlio che nutre una passione per il tennis, tanto da sognare una carriera agonistica.
Poi un giorno Jérome porta il figliolo ad una partita ma il ragazzo la perde a tavolino perchè arrivato con un ritardo di trenta minuti sul campo. L’uomo, che si sente responsabile, inveisce e continua a dire che l’ispettore potrebbe cambiare la regola. All’inizio potrebbe sembrare una discussione come le altre ma non lo è. Il figlio Ugo ha ascoltato ogni parola, si è arrabbiato col padre e quando arriverà il momento anche per lui di agire, proverà ad aggirare la regola come aveva tentato il padre. Da quella sequenza il passo irrequieto del padre diventa quello del figlio. E se nel mondo del padre ci sono magazzini sempre più claustrofobici e rumorosi, in quello del figlio c’è una palestra dove lo sguardo è condannato a guardare con soggettive sempre più strette i successi di chi ha più talento e voglia di vincere. Il film usa lo sport come metafora perfetta della vita con la contrapposizione di due agonisti, la sfida, la voglia di competere, la vittoria e la sconfitta inesorabile se non si conosce l’avversario e soprattutto se si sbaglia strategia di gioco.
Demoustier, francese, classe 1977, alla sua opera prima porta alla Settimana della Critica un film dalla regia asciutta (co-produttori i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, non a caso) che non si avvale quasi mai di una colonna sonora pregnante per scandire gli snodi narrativi del film. Il dramma è personale, è interno ad una famiglia dove da subito la madre si dichiara estranea lasciando Jèrome e Ugo completamente soli e incapaci di vedere – oltre i loro problemi – la vita.
Plauso per il titolo internazionale del film: 40-love.
giovanna barreca