Darja Saveleva nel film Fabbrica di nome “Speranza” è Sveta, ragazza benestante che vive a Norilsk anche se vorrebbe scappare per stare con il suo ragazzo. Il suo amore malato però la porterà a vivere ogni relazione interpersonale con i coetanei come una sfida e trasformerà una rivale nella sua peggior nemica, da annientare a tutti i costi. Vediamo la giovane che la regista Natalija Meschaninova – alla sua opera prima di fiction – inquadra molto spesso in campo medio, sempre poco a suo agio con l’ambiente circostante e una natura maligna. E proprio per creare quest’atmosfera così metaforica dello stato di tutti i personaggi è stata scelta Norilsk, cittadina russa che forse più di altre vive il peso della disgregazione dell’impero russo (vicino un lager stalianiano nei pressi del Circolo Polare Artico) e dello smantellamento del sistema economico/industriale. Nella città l’inverno dura sei mesi e l’atmosfera, anche nei mesi di luce, sembra sospesa e costringere i personaggi in una costante attesa. Sveta ma anche Serezha, Jana, Ruslana, Den sembrano aspettare mentre vagano tra le macerie di una città, le sue industrie, il suo porto inquinato. Oggetti disgregati e abbandonati come questi giovani alla deriva ma, a differenza che nelle storie occidentali, qui non è la famiglia a mancare ma soprattutto una società e con essa un’idea di futuro.
L’autrice è molto attenta, soprattutto nelle scene corali a far emergere la complessità delle dinamiche psicologiche dei giovani intenti a passare il tempo a bere, picchiarsi, fare sesso prima che accada altro, prima che la loro vita possa vivere finalmente una svolta. Struttura lineare che gode di un rapporto spazio-temporale perfetto e di un’atmosfera che spesso fa pensare ad un risvolto thriller per il crescente stato di tensione percepito.
GIOVANNA BARRECA