“Un’epoca di grande svolta perché prima della Secona Guerra mondiale era tutto definito. Invece dopo il 1945 è stato rimesso tutto in discussione” dichiara Mario Fanfani per spiegare ai nostri ascoltatori perchè ha scelto di ambientare la sua storia nel 1959, in una Francia che non si dichiarava in guerra con l’Algeria ma in realtà stava vivendo il trauma di un conflitto che coinvolgeva i suoi uomini e distruggeva intimamente l’anima di tutta la popolazione. Les nuits d’été, presentato all’interno delle Giornate degli autori alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia, infatti ha due protagonisti principali Michel e Hélèn Aubertin, marito e moglie. La coppia è apparentemente felice ma l’uomo ha una doppia vita: in una casa di campagna nella foresta dei Vosgi diventa Mylèn per ritrovare se stesso o meglio per cercare con l’amico Jean-Marie (Flavia) una sorta di protezione dalla realtà e dai traumi lasciati nel loro animo dalla guerra. La situazione politica, sociale e culturale che li circonda li spaventa e loro, in abiti e atteggiamenti di vita quotidiana, ricercano una pacificazione, evitando di rielaborare i traumi di una guerra che aveva condizionato le loro esistenze nell’adolescenza e che pretendeva che fossero forti, virili, indistruttibili.
A scandire i primi appuntamenti nella casa nella foresta movimenti lenti, una sorta di attraversamento, un sospingere corpi ed emozioni verso una tranquillità pretesa come un bisogno del quale, anche se vorrebbe smettere, Jean-Marie (interpretato da Guillaume De Tonquédec che regala gesti minimali al suo personaggio per raccontarne il disagio), non riesce a fare a meno. L’opera prima del regista francese ci proietta una doppia immagine aprendo un varco verso una solitudine alla ricerca d’ascolto. Ricerca che scopriamo essere indispendabile anche per le donne del film, prima tra tutte la moglie di Jean-Marie, un’intensa Jeanne Balibar.
giovannna barreca