Tre-quattro film all’anno, un talento visionario unico e una capacità di scavalcare, come ricorda il moderatore dell’incontro Giona Nazzaro, le barriere della distribuzione tradizionale. Miike Takashi è al Festival Internazionale del film di Roma per ricevere il Maverick director award e presentare in concorso As the Gods will, opera capace di mescolare horror, giochi moderni e giochi del passato in un’avvincente avventura che sembra un video-game ad alto tasso di tensione e di risate esilaranti. Al pubblico ha rivelato che il manga di grande successo alla base della storia è un fumetto che ama e ricorda come, quand’era bambino, i fumetti fossero nati per un pubblico giovanissimo. “Le tv proponevano storie di eroi. Era come una sorta di doccia che continuavano a farci costantemente. Eroi, eroi, eroi…Poi a 12 anni ho incontrato il cinema americano e i film di Bruce Lee e, attraverso di essi, ho conosciuto l’intrattenimento vero e proprio”.
Nazzaro, premettendo che il cinema di Takashi è sinonimo di inventiva, immaginazione e libertà afferma di ritrovare in tutte le sue opere una disciplina del lavoro del cinema, sia che l’autore abbia a disposizione budget inesistenti o altissimi. Ritrovandosi nella definizione, il regista sottolinea che per molto tempo si è sentito felice di non appartenere a nessuna produzione: “A volte le restrizioni di budget sono un aspetto positivo e se incontro occhi seri e attenti ma pochi soldi, mi viene voglia di capire come collaborare e vado avanti con la creazione. Anche perché mi sono reso conto che per me è fondamentale essere attivo e confrontarmi col maggior numero di persone possibili. E confesso che spesso uso budget bassi per divertirmi”. Ma, a volte, non è il denaro a fermare il regista di Dead or Alice, 13 assassini, Il canone del male ma la censura. E quindi è stato immediata la riflessione su quanto accaduto in America doveImprint è stato vietato: “Quando ho raggiunto l’America, come tutti, pensavo di essere arrivato nel paese delle grandi libertà e nel luogo dove poter esprimere tutto ciò che volevo. Ma poi ho conosciuto l’America reale”.
Rapportandosi poi alla sua opera confessa di non rivedere mai i suoi film perché è sempre proiettato verso il film che sta per realizzare o che sta girando. Vive i festival come la possibilità di creare un cammino per il film. Ma vede in tali occasioni anche la possibilità per dire cose nuove sull’opera. E, scherzando sulla sua partecipazione al Festival di Roma e sulla consistenza materiale del premio ricevuto, manifesta le sue perplessità sul peso dell’oggetto.
giovanna barreca