Living e Loving al Festival del Cinema Europeo

Bella apertura del concorso del Festival del Cinema Europeo a Lecce. Due opere interessanti dall'Est: il russo Living di Vasilij Sigarev e il polacco Loving di Slawomir Fabicki.

Vita, amore. E su tutto, la morte che incombe, che prende forma sotto molteplici vesti, su corpi semplicemente privi di respiro, o magari costretti in una vita che non è tale, come nel più bestiale degli accanimenti terapeutici. Apre i battenti il concorso del XIV Festival del Cinema Europeo di Lecce con due opere esteticamente molto distanti, ma di discorso affine riguardo gli universali dell’essere umano. Vengono entrambe dall’Est europeo: Living (Zhit’) del russo Vasilij Sigarev, e Loving (Milosc) del polacco Slawomir Fabicki. Da un lato un racconto disperatamente suburbano, colto negli sconfinati margini della società russa attuale. Dall’altro un racconto borghese, più virato sulla crudele analisi psicologica di fenomenologie umane, tratto comune a molto del buon (e un tantino accademico) cinema medio europeo. Se in linea di massima è preferibile l’asprezza del film di Sigarev, nell’insieme i due film aprono molto bene la sezione competitiva del festival, che stando a queste prime opere in gara promette una notevole qualità media delle opere selezionate. Living (Zhit’) è costruito secondo un principio di mosaico narrativo, costituito da tre vicende che non s’incrociano praticamente mai. In comune, la collocazione in un contesto sociale di varia emarginazione: un matrimonio tra una rasta ossigenata e un ragazzo affetto da AIDS, che sarà macchiato da un immediato episodio di violenza, la tragedia di una madre alcolizzata a cui sono stati sottratti i figli, la solitudine di un bambino al centro della separazione dei genitori, che vive con la madre e il suo compagno, mal tollerato da tutti. Sigarev mostra innanzitutto una sapientissima tecnica cinematografica, capace di abbinare la libertà della macchina a mano ai piani-sequenza rapidi e nervosi (molto riuscita la sequenza del pestaggio in treno).

Si respira molto coraggio narrativo nel suo film, che non arretra davanti a nulla con sguardo impassibile e partecipe insieme. Traspare senz’altro il tentativo di parlare di una Russia lontana dalla propaganda putiniana, fatta di sobborghi fatiscenti e inospitali, in cui il senso della propria esistenza è costretto a legarsi a oggetti-feticcio, fossero anche i corpi senza vita di chi era depositario dei nostri affetti. Una forma ibrida di realismo sociale, che lentamente sconfina verso un “possibile surreale” (la madre che dissotterra i cadaveri dei figli e li mette sul letto, con le loro bambole parlanti…). Disturbante, lontano da qualsiasi idea di conciliazione. Loving (Milosc) di Slawomir Fabicki si muove invece su tutt’altre coordinate espressive, sposando l’algido formalismo visivo dell’elegante cinema medio europeo per il racconto di una lenta e inesorabile deriva coniugale. Una coppia felice, esplosa dal repellente stupro ai danni della donna, pure in attesa di un figlio, perpetrato dal suo datore di lavoro, follemente innamorato di lei. Quel che può sembrare materia da incandescente melodramma è invece trasformato da Fabicki in sottile studio psicologico, tutto centrato sui comportamenti dei personaggi in scena, con un affidamento misurato e calcolatissimo al dialogo. In polacco il titolo originale significa “Amore”. Fabicki si pone all’indagine esattamente della falsa coscienza sottesa all’amore borghese, in cui la diffidenza e il desiderio di possesso dell’altro superano di gran lunga la dedizione e il trasporto emotivo. Nel complesso meno compatto e dal fiato più corto rispetto al film di Sigarev, ma altrettanto degno di rispetto.

MASSIMILIANO SCHIAVONI