Dopo aver trattato il tema dell’Olocausto più o meno direttamente in Prendimi l’anima e Jona che visse nella balena, Roberto Faenza torna su quei temi con Anita B., film presentato oggi a Roma e in uscita nelle sale grazie a Good Films. Tratto dal romanzo Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck, che ha scritto anche la prima versione della sceneggiatura, il film racconta la vicenda di Anita, ragazzina sopravvissuta all’Olocausto e al campo di Auschwitz, che torna nella propria casa in Cecoslovacchia. Qui, l’ostilità comunista verso gli ebrei, la voglia di dimenticare la tragedia e la difficoltà di reinserirsi in un mondo cambiando per sempre faranno scoprire ad Anita altre possibilità e luoghi in cui vivere.
“Tanti film hanno raccontato i campi e l’Olocausto – ha dichiarato Faenza in conferenza stampa – ma pochi, forse nessuno hanno raccontato il dopo, come si rinasce dopo la tragedia”. Temi quella della memoria e del diritto all’oblio, centrali nella cultura ebraica, ma universali essendo il film ambientato subito dopo la fine della 2^ guerra mondiale, con altri regimi e altre prigioni ad attendere Anita: il regime sovietico, un amore impossibile, l’oppressione familiare. Un film dai temi non facili, ma in cui Faenza ha colto alcuni importanti aspetti della questione ebraica, come dimostra la scelta del museo Yad Vashem di Gerusalemme di proiettarlo nel giorno della memoria, il 27 gennaio. Una produzione internazionale, con attori come Robert Sheehan e Moni Ovadia, che però si trova schiacciata dalla difficile situazione della distribuzione in Italia, soprattutto delle major della distribuzione italiana, come ha raccontato Elda Ferri, produttrice del film: “Se non sei distribuito da 01, Medusa o Warner è come se non esistessi per gli esercenti. Distribuzioni e sale possono permettersi di maltrattare il tuo film, di farlo togliere da sale che lo avevano già noleggiato, in modo arrogante. Se sei indipendente forse i film è meglio non farli”. Una vena amara che si spera non tolga spazio alla visione del film di Faenza.
EMANUELE RAUCO