E’ ormai sempre in subbuglio il panorama dei festival italiani. Stavolta tocca al Torino Film Festival che, dopo la fine del mandato quadriennale di Gianni Amelio, è ancora senza il nome del direttore che si dovrà assumere oneri e responsabilità di uno dei più importanti festival cinematografici italiani. E’ di ieri la notizia del rifiuto di Gabriele Salvatores, che pare motivato da nuovi impegni lavorativi dopo la regia di Educazione siberiana, ma anche – sembra – da alcuni veti posti dalle istituzioni politiche e soprattutto cinematografiche piemontesi, che vorrebbero salvaguardare la squadra che ha lavorato al festival in questi ultimi anni, mentre il regista di Mediterraneo avrebbe preferito – si dice – cambiare radicalmente organico. Su tutto aleggia la presunta guerra di potere tra Alberto Barbera, direttore del Museo del Cinema di Torino (che ha in carico la gestione del festival) e insieme direttore anche della Mostra del Cinema di Venezia, e Steve Della Casa, presidente della Film Commission Torino Piemonte. Allo stato attuale delle cose, visto che ufficialmente Barbera si è autosospeso da ogni decisione sul TFF, il referente istituzionale cinematografico cui è per primo affidata la nomina del successore di Amelio è il presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino, Ugo Nespolo. Una decisione in tal senso probabilmente sarà presa il 18 dicembre prossimo, giorno previsto per l’assemblea dei soci del Museo. Verrà vagliato un ventaglio di nomi; si parla di Piera Detassis, per un possibile quanto inverosimile ticket con Emanuela Martini (vice-direttore da sei anni a questa parte), inverosimile anche perché le due hanno alle spalle due riviste di cinema concorrenti (Ciak e FilmTV); in alternativa – sono La Stampa e La Repubblica a parlarne in particolare – si fa addirittura il nome di un illustre semi-sconosciuto, il produttore e regista francese Ronald Chammah, marito di Isabelle Huppert e autore di un unico film da regista, nel 1988, Milan Noir.
Viste le ipotesi che vengono fatte, non si capisce perché non si voglia puntare fino in fondo sulla cosiddetta squadra, promuovendo ad esempio Emanuela Martini, vera direttrice ombra in questi sei anni (i primi due con Nanni Moretti, i successivi quattro con Gianni Amelio), oppure – cercando di unire l’anima di questi ultimi anni con quella originaria del festival, quella maggiormente di ricerca – perché non pensare, come si faceva prima, a un nome cresciuto proprio all’interno del festival, come quello di Davide Oberto, curatore delle sezioni documentarie del Festival di Torino o di Massimo Causo, curatore della sezione Onde? Sono ipotesi queste ultime che valorizzerebbero insieme la ricerca e il pubblico, visto il successo di spettatori avuto dal festival nell’ultima edizione del festival.