“Io parto da una storia e da una struttura narrativa che è vicina a quella del linguaggio cinematografico e poi, a seconda del budget, deciso cosa farne” ci racconta il regista Francesco Patierno presentando il suo Camorra, in Sconfini alla 75esima Mostra del cinema di Venezia. La sua esplorazione, partendo dai filmati delle Teche Rai permettono allo spettatore di scoprire la storia della Camorra dagli anni ’60 agli anni ’90, le evoluzione, i volti, in un flusso organico di immagini e suoni che trascinano lo spettatore e ne scuotono la coscienza.
I bambini che dai piccoli furti passano a far parte integrante dell’organizzazione, il mutamento di pelle della Camorra negli anni, i rapporti con la Mafia e il ruolo dei politici, come il sindaco Maurizio Valenzia, che arriva a giustificare il contrabbando come unico modo per mantenere migliaia di famiglie. E poi Salvatore Cutolo che viene chiamato dai servizi segreti del nostro Stato per trattare con le Brigate rosse quando viene rapito l’assessore Ciro Cirillo.
Come precisa anche il regista nella nostra intervista: “Un tema del film è proprio quello di mettere in luce come lo Stato abbia autorizzato il mantenimento di due mondi: uno legate e uno illegale che confinano tra di loro, anzi non confinano più. Quindi dal punto di vitsta culturale è stato trasmessa a tutti quest’accettazione”.
Il tutto nel cuore nevralgico del capoluogo campano, nei suoi quartieri. “Napoli è assuefazione delle classi plebee rispetto alle loro condizioni di vita. Assuefazione che permette il mantenimento dell’equilibrio” si dice nel doc, permettendo allo spettatore di comprendere il fenomeno criminale abbia quella collocazione spaziale.
I cortociurcuiti ai quali si assiste sullo schermo grazie soprattutto ai tanti campi medi girati nei quartieri e la musica delineano i contorni della storia narrata, strumento fondamentale per capire il nostro presente.
giovanna barreca