Nel novembre del 2001 mi trovavo a San Pietroburgo a raccogliere materiale per la mia tesi di laurea. Un’amica mi parlava entusiasta della recente uscita in vhs (leggi, vhs!) di uno dei suoi film preferiti, visto l’anno prima al cinema. Brat 2, secondo capitolo di una saga autoctona che aveva travolto tutta una generazione in un fenomeno di massa. L’amica mi regalò la videocassetta a un’edicola, e pensai di guardarmi il film al ritorno a casa. Cercando poi in rete scoprii che il primo film della saga era stato premiato nel 1997 sia per “Un certain regard” a Cannes sia al Festival di Torino. E così presi contatto per la prima volta con tutta una produzione russa nazionale, perfettamente autosufficiente, che copre un po’ tutti i generi senza penetrare praticamente mai nei mercati internazionali. Tratto comune a molte cinematografie “periferiche” (mi si perdoni il termine), che si muovono con costante attenzione all’exploitation di generi stranieri e che producono moltissimo per il proprio pubblico. In Russia, infatti, Brat e Brat 2 hanno avuto lo stesso significato che in quegli anni ricopriva l’esplosione in Occidente del fenomeno-Tarantino, adottando però coordinate espressive sensibilmente diverse. Ieri è scomparso a soli 54 anni Aleksej Balabanov, autore di quel dittico, conosciuto e apprezzato da una ristrettissima cerchia di cinefili e da qualche milione di russi. In realtà la sua filmografia non si limita a Brat e Brat 2, ma le altre sue opere, precedenti e successive, hanno sempre trovato grandi difficoltà di distribuzione in Italia, passando regolarmente ai festival più importanti e smarrendosi poi nei magazzini. Solo Cargo 200 (2007) ha riscosso una certa notorietà tra i cinefili per la sua violentissima rievocazione degli anni ’80 sovietici.
Anche Brat e Brat 2 trovarono una distribuzione bislacca nel nostro paese, passati in sala quasi come due film separati: il primo rititolato Brother, il secondo Il fratello grande. La violenza, quindi: una bomba di sangue che esplode sul finire degli anni ’90 come reazione alla schiacciante cultura sovietica. Quando Brat entra in produzione, in fin dei conti sono passati solo 5 anni dalla dissoluzione dell’immenso stato-partito. E’ un periodo particolarmente fertile per la creatività russa, un’esplosione in tutte le direzioni, che spesso si manifesta anche tramite rozzi atti di provocazione. Qui si distingue maggiormente Balabanov dal coevo Tarantino all’altro lato dell’oceano: a Balabanov manca completamente il rovescio grottesco del buon Quentin. La violenza di Balabanov è aspra e diretta, “quotidiana”, restituita appena una tacca sopra alla cruda radiografia sociale. Perché (altro dato fondamentale) l’action di Balabanov affonda le proprie radici nell’allarmante condizione sociale russa di quegli anni. Cinema di genere con evidenti debiti verso i modelli occidentali, ma a cui si può credere e aderire. Basta forse aprire la finestra e guardare giù in strada. Anche amare e imitare l’Occidente, in quegli anni, costituisce un atto di reazione all’asfissiante regime. Così una combinazione miracolosa viene a crearsi tra la generazione dei giovani russi anni ’90, che adorarono Brat, e Aleksej Balabanov, che interpretava e “creava” l’aria del tempo. Probabilmente Brat e Brat 2 assumeranno adesso tratti di film maledetti, dal momento che Balabanov scompare ancora giovane, e che il protagonista del dittico, Sergej Bodrov jr, è morto nel 2002 a soli 30 anni a seguito di una catastrofe ambientale in Ossezia durante i sopralluoghi per un nuovo film. Tragico, come l’anima russa.
MASSIMILIANO SCHIAVONI