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Milcho Manchevski, regista macedone tra i più apprezzati nel mondo (in Italia i più ricorderanno Before the rain, Leone d’oro a Venezia nel 1994 e l’intensa interpretazione di Rade Serbedzijia), sarà il protagonista indiscusso della serata di apertura del Trieste Film Festival (19-25 gennaio) dove presenterà l’ultimo capitolo di un trittico, tra fiction e documentario, intitolato Madri. Sua anche la lezione di cinema aperta al pubblico il 21 gennaio. Altri grandi autori presenti saranno l’ungherese István Szabó premio Oscar per Mephisto (1981) e Sándor Lász e Róbert Kollár, co-registi di Holtak Orszàga (Land of Dead), documentario in cui la protagonista compie un viaggio alla scoperta delle origini della sua famiglia ebrea (proiezioni previste nell’ambito delle celebrazioni per la Giornata della Memoria). La kermesse, giunta alla 23esima edizione, è riuscita nell’operazione difficile e pressoché unica in Italia di presentare e studiare le cinematografia poco conosciute dei paesi dell’Est-Europa dove, dalla caduta del Muro di Berlino e quindi dal crollo del regime comunista, la situazione geo-politica è in continuo mutamento e gli autori non si limitano a raccontare il loro tempo e i conflitti sociali – per alcuni anni, tanti sono stati i film che hanno documentato il passaggio dall’economia comunista a quella capitalista – ma la vita anche comune fatta di rapporti che iniziano, si evolvono e a volte si interrompono. Infatti, oltre al tema/dramma delle migrazioni che ovviamente da anni ritorna in diverse pellicole (si citi solo il documentario Ivan & Ivan di Jeff Silva, un quadro inedito dell’immigrazione negli Stati Uniti girato dalla prospettiva di un americano che rende protagonisti due giovani sopravvissuti ai bombardamenti Nato in Kosovo e li immerge nella realtà dell’America in piena recessione), uno dei fili rossi che lega i film delle diverse sezioni collaterali, del concorso cortometraggi, lungometraggi (ben 8 film sono in prima nazionale) e documentari (sezione sempre più ricca e interessante) sono le relazioni, così come suggerisce Nicoletta Romeo, responsabile della programmazione del festival, diretto da Annamaria Percavassi.
Ormai star internazionale dopo i suoi esordi con Almodovar e l’interpretazione del Che in I diari della motociclettadi Walter Salles, Gael García Bernal è il protagonista di The loneliest Planet di Julia Loktev (concorso lungometraggi), dove il viaggio nel selvaggio territorio delle montagne del Caucaso arriverà a mettere in discussione il rapporto tra una giovane coppia. Altro titolo importante, sempre in concorso, è Loverboy di Cătălin Mitulescu , già apprezzato nella sezione Un certain regard al festival di Cannes: protagonista è Luca, un ventenne che seduce coetanee in discoteca per poi trascinarle nel giro europeo della prostituzione. Sempre da Cannes (concorso internazionale della Cinefondation) arriva anche il corto dell’italiano Pasquale Marino che ne L’estate che non viene – lavoro di diploma al Centro sperimentale di Roma – mette in scena il folle e stupido pomeriggio al mare di tre adolescenti.
Ampio spazio anche a generi completamente diversi: dal cinema d’animazione dell’Est Europa che da anni, da Petrov a Vukotic, è diventata un’eccellenza apprezzata in tutto il mondo ai cosidetti b-movies con l’omaggio a Stephen C. Apostolof che, in fuga dalla dittatura bulgara, si rifugiò in America dove divenne un indiscusso re del genere sexploitation. A Trieste, tra gli altri, la possibilità di vedere L’orgia dei morti, suo film del 1965 su sceneggiatura dell’amico Ed Wood, dal romanzo omonimo. E ancora grande attenzione alla cinematografia polacca di ‘ieri’ e di oggi, con la retrospettiva – e il primo volume della collana dei quaderni del Trieste film festival – Il caos come visione del mondo, dedicata a Grzegorz Królikiewicz, padre dell’avanguardia e con l’omaggio alla Wajda school che al festival presenterà una selezione delle opere dei giovani autori più promettenti. Infine ricordiamo che continua la collaborazione tra il festival e l’associazione Corso Salani. Un sodalizio molto interessante perchè, invece di omaggiare l’autore prematuramente scomparso con la visione dei suoi film, il suo nome e la sua militanza per un cinema ‘altro’ spinge gli organizzatori a visionare diversi progetti, premiare il più interessante e aiutare con 10.000 euro l’autore indipendente a completare il film. Un aiuto vero e concreto. L’anno scorso ne beneficiò Stefano Savona che ultimò il difficile e necessario documentario Il palazzo delle Aquile, sulla protesta di siciliani sfrattati.
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