Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne è un ritratto duro, emozionante, concreto sulla condizione di molti lavoratori oggi e che coinvolge (impossibile non immedesimarsi) ogni spettatore che gode della visione del film presentato al Festival Internazionale di Cannes e nelle sale italiane dal 13 novembre. Al Torino Film Festival, non usando la finzione ma immagini tratte solo dal reale, Costanza Quatriglio in Triangle, mette al centro sempre il diritto al lavoro ma analizzandolo da un punto di vista diverso. Li accomuna la centralità del lavoratore (lavoratrice) anche se nel film della regista siciliana le protagoniste sono due. Due storie ma una sola voce che chiede perché debba essere così difficile lavorare in sicurezza e nel rispetto delle regole ieri e oggi. Due storie perché in un gioco speculare (con immagini a specchio per New York con i suoi grandi grattacieli e le donne in fabbrica) vengono raccontate due stragi sul lavoro. La prima del 1911 che portò alla morte 146 lavoratrici tessili della fabbrica “Triangle” di New York, in gran parte immigrate e almeno una quarantina nostre connazionali. Donne molto giovani che, come narra la voce over di una sopravvissuta, nel lavoro trovavano non solo la possibilità di emanciparsi dalla famiglia ma relazioni con altre coetanee che diventavano amiche. 1911 e poi 2011 quando a Barletta il crollo strutturale di una palazzina portò alla morte di quattro lavoratrici e della figliola del capo, anch’esse intente a confezionare abiti ma senza nessuna tutela o contratto.
Nel racconto della donna americana le condizioni di fatica, la paga misera, le porte chiuse a chiave (motivo della strage) e la perquisizione a fine turno alla ricerca di merletti e fili trafugati, ma anche la gioia per un mestiere che la rendeva più libera. E quella voce trova assonanze con quella di Mariella Fasanella, oggi disoccupata, che nel 2011 venne estratta miracolosamente dalle macerie della palazzina dove lavorava per pochi euro e in nero. La donna italiana focalizza il racconto sul lavoro, sul suo significato, sulle relazioni sociali con le altre donne. E sorprende che nelle sue parole manchi totalmente la denuncia. Se dopo il 1911 molte lotte sindacali resero migliori le condizioni dei lavoratori, oggi Mariella nelle organizzazioni dei lavoratori non crede, per lei sembrano non esistere.
Il documentario accomuna anche le storie delle lavoratrici e il loro rapporto con la macchina. Come dice la regista durante la nostra intervista: “Non posso raccontare il lavoro e non inquadrare la macchina”; le tante cucitrici Singer, gli ingrannaggi, quegli enormi apparecchi che dividevano i fili e gli sguardi fissi su di essi delle lavoratrici.
Le musiche sono di Teho Teardo che sa cogliere nel racconto della regista le diverse pieghe drammatiche e a volte ironiche evocando spesso l'”assenza”, come in immagini sa fare il campo medio sulla grata che divide la strada dal cratere dove sorgeva la palazzina di Barletta.
Il documentario è stato presentato al Cinema Massimo in una sala sold out. Alla proiezione è seguito l’incontro tra la regista e Paolo Virzì – guest director – che ha raccontato la sua prima volta, ancora studente, in un’azienda tessile di Livorno dove fece l’operaio.
giovanna barreca