Un padre putativo: il regista Kiarostami
Un padre biologico visto per la prima volta a 25 anni: Saro
Da questi due elementi abbiamo iniziato la nostra intervista con Enrico Maria Artale che in Italiana.doc al Torino Fillm festival ha presentato Saro, un doc road-movie. Il giovane decide di partire da Roma, città dov’è nato e dove vive per arrivare in Sicilia, la terra d’origine dei suoi genitori, per incontrare l’uomo che gli ha dato la vita ma che, dopo il suo primo anno d’età, è scomparso. Saro parte da una vicenda intima, personale, quasi da un diario – come ci rivela lo stesso regista – per diventare “un racconto universale che pone delle domande a qualsiasi individuo sull’infanzia e sull’identità”.
Nei documentari ci si interroga spesso sulla giusta distanza che il regista deve avere rispetto alla storia, quale deve essere la posizione del suo sguardo, della sua macchina da presa. Qui Enrico Maria Artale usa tutto l’impianto cinema fatto dell’attrezzatura digitale per mantenere un divario proprio fisico col padre, con i diversi luoghi del racconto e per dare un senso di ricerca più oggettivo. Inoltre l’autore rivela di aver avuto bisogno anche di una distanza temporale dal materiale girato; infatti lascia che passino 5 anni prima di iniziare a lavorare al montaggio con Valeria Sapienza e trovare di far emergere una chiave ironica.
La figura del padre, come racconta anche l’elaborazione dell’immagine di copertina, è poco definita, ricca di sfumature e nonostante sia “in campo”, non sa mai occupare la misura del quadro.
E invece in un film che indaga un rapporto padre-figlio, che pone domande sull’identità, che sottolinea un disagio umano forte, emerge preponderante l’unica figura fuoricampo, quella della coraggiosissima e fiera mamma del regista.
giovanna barreca