Muhammad Ali’s Greatest Fight

Proiezione speciale a Cannes per il film HBO diretto da Stephen Frears che ricostruisce la "battaglia più grande" del pugile, quella che si scatenò intorno al suo rifiuto di partire per il Vietnam.

La vittoria contro Sonny Liston per KO alla settima ripresa; quella contro George Foreman nel 1974 a Kinshasa, destinata a entrare nella leggenda dello sport con il nome di “The Rumble in the Jungle”; o ancora quella dell’anno seguente nelle Filippine contro Joe Frazier, ribattezzata “Thrilla in Manila” e condotta in porto solo alla quattordicesima ripresa. Sono stati molti i combattimenti per cui Muhammad Ali merita di essere ricordato come uno dei massimi atleti del Ventesimo Secolo, alla pari forse solo con Diego Armando Maradona e Sergej Bubka: non si tratta in questo caso solo di riconoscere il valore sportivo all’interno di una determinata disciplina (altrimenti la lista si allungherebbe a dismisura), ma di assegnare a questi personaggi un ruolo di spicco anche da un punto di vista strettamente sociale, mediatico e politico. Se Cassius Clay fosse rimasto solo lo splendido pugile in grado di boxare “volando come una farfalla e pungendo come un’ape”, probabilmente la sua fama sarebbe andata via via affievolendosi nel corso dei decenni, oscurata dall’arrivo sul proscenio, o meglio sul ring, di nuove generazioni di combattenti, pronti a darsi battaglia fino all’ultimo uppercut. Ma il solo cambio di nome da Cassius Clay a Muhammad Ali, la conversione all’Islam, il rifiuto di partecipare come soldato alla guerra in Vietnam (“nessun vietnamita mi ha mai chiamato nero”, affermò a riguardo in un’intervista televisiva), la sua difesa attiva, anche al termine della carriera, dei diritti civili, lo distanziano nettamente dalla maggior parte dei suoi colleghi, eleggendolo a vero e proprio emblema di un’epoca storica in cui la vita sociale, ivi compresi il mondo dello spettacolo e quello dello sport, era attraversata da venti di cambiamento epocali, destinati a sconvolgere la storia dell’Occidente, per lo meno in parte.

Muhammad Ali venne arrestato, in seguito alla sua dichiarazione contro l’arruolamento, e la Corte Suprema degli Stati Uniti dovette deliberare riguardo la conferma o meno del fermo: su questo si concentra Muhammad Ali’s Greatest Fight, film televisivo marchiato HBO e diretto da Stephen Frears, che ha trovato ospitalità nel palinsesto della sessantaseiesima edizione del Festival di Cannes all’interno delle Séances spéciales. In tutto e per tutto costruito per essere fruito sul piccolo schermo, ma ciononostante non dimentico delle potenzialità espressive del cinema, Muhammad Ali’s Greatest Fight vede l’apparizione del pugile afro-americano solo in alcuni brevi ma affascinanti reperti d’archivio: si assiste alla sua gioiosa esultanza dopo la vittoria del titolo mondiale contro Liston, alle sue categoriche prese di posizione contro l’invasione statunitense del Vietnam, alla sua fiera affermazione di appartenenza alla Nation of Islam di Elijah Muhammad e Malcolm X. Per il resto però Stephen Frears si tiene volontariamente alla larga dal pugile, per concentrare tutta la sua attenzione sulla vita quotidiana all’interno della Corte.

Vengono così alla luce le varie posizioni degli associates justices, i membri della Corte nominati a vita in difesa delle leggi che compongono la Costituzione; si punta l’occhio sui giovani avvocati, pronti a prendere con vigore – e persino con il ricorso alla colluttazione – le parti pro o contro Muhammad Ali. Animato da un profondo spirito democratico, Frears firma un sincero elogio alla giustizia, intesa nel suo senso più puro e privo di mediazioni politiche. Peccando forse di ingenuità, ma dimostrando una volta di più l’impeto sociale (qui meno dissacrante del solito) spesso evidente nel suo approccio alla messa in scena. Accompagnato dalla diligente sceneggiatura di Shawn Slovo, pur molto lontano dai fasti dello script di Un mondo a parte di Chris Menges, e attorniato da un cast che si compone di grandi “vecchi” come Christopher Plummer, Frank Langella, Danny Glover e Ed Beagly jr, e di giovani promesse quali Benjamin Walker, Muhammad Ali’s Greatest Fight rappresenta una visione piacevole, poco impegnativa ma in un certo qual senso gratificante, atto di giustizia cinematografica verso un uomo che segnò in maniera indelebile la lotta in difesa della pace e dei diritti degli afro-americani.

RAFFAELE MEALE