Ci voleva un regista belga, Stijn Coninx, per raccontare una italianissima storia di immigrazione: quella degli italiani in Belgio, costretti per sopravvivere a lavorare nelle miniere di carbone dalla fine degli anni Quaranta all’inizio degli anni Sessanta; una storia drammatica e dolorosa in cui il momento più buio è rappresentato dalla tragedia di Marcinelle dell’8 agosto del 1956, quando morirono 136 nostri connazionali. Sullo sfondo di questo contesto storico, Coninx si ispira alla parabola biografica di Rocco Granata, trasferitosi nel ’49, a soli undici anni, dalla Calabria alle Fiandre insieme alla famiglia e poi divenuto celebre come cantante grazie alla sua canzone Marina, che per l’appunto dà il titolo al film. Una prospettiva azzeccata che permette di raccontare la fatica del vivere quotidiano dei nostri migranti dell’epoca – il padre di Rocco, Salvatore, era proprio un minatore – mettendola a contrasto con il desiderio del giovane di diventare musicista.
Pur tra incertezze e qualche passaggio narrativo non ben esplicitato – si veda ad esempio il giovane Rocco che diventa improvvisamente un esperto riparatore di motocicli – Marina, presentato come evento speciale nella sezione Alice nella città del Festival del Film di Roma, è un convincente affresco storico e, insieme, una bella storia di riscatto sociale, contro tutto e tutti, a partire dalla diffidenza del padre del protagonista.
Ed è proprio nella dinamica e nel conflitto padre-figlio che si gioca il nucleo del film, in cui a confrontarsi sono Luigi Lo Cascio nei panni del genitore e Matteo Simoni in quello di Rocco, per un confronto attoriale serrato ed efficace. Non sfigura d’altronde neppure il resto del cast, da Donatella Finocchiaro, la madre di Rocco dimessa ma combattiva, e l’attrice belga Evelien Bosmans, la ragazza innamorata del protagonista. Ma, proprio Lo Cascio e Simoni, oltre a dar vita a un duetto attoriale di ottimo livello (e si spera che Matteo Simoni possa confermare in un futuro prossimo tutte le qualità che dimostra in questo film), mettono in scena un conflitto generazionale inevitabile quanto implacabile: la generazione contadina, cocciuta fino all’inverosimile e onesta nonostante tutto, e quella figlia del boom economico, fiduciosa nelle possibilità di ascesa sociale. Un passaggio chiave del Novecento occidentale, cui oggi – volendo – si è costretti a guardare con nostalgia.
A metà tra melodramma familiare, film musicale e biopic, Marina – che tra l’altro vede tra i suoi co-produttori anche i Dardenne – è un esempio discreto e non deprecabile di cinema popolare e divulgativo, capace di raccontare una storia allo stesso tempo semplice e complessa, senza lasciarsi andare in inutili arzigogoli e/o tentazioni autoriali. Una adesione alla vicenda che non si può non apprezzare visto che riguarda una pagina fondamentale della storia del nostro paese e tenendo anche in considerazione il fatto che il nostro cinema odierno a più riprese continua a dimostrare di non essere più capace di affrontare questi temi senza perdersi per strada. Si veda, per un confronto seppur lasco, il controverso risultato di L’ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi, esempio eclatante di affresco storico come atto mancato.
Alessandro Aniballi per Movieplayer.it Leggi