Erik Gandini da anni vive e lavora in Svezia e, attraverso la presentazione dei suoi documentari ai festival europei e alle anteprime italiane, abbiamo avuto più volte modo di intervistarlo per i suoi film-saggio spesso provocatori, spesso pronti a dividere il pubblico in sala. Videocracy del 2009 presentato alla Mostra del cinema di Venezia fu considerato – per la tematica politica – il film scandalo della kermesse veneziana e per La teoria svedese dell’amore del 2015, l’aspetto sociologico portò a riflessioni che andarono oltre il lavoro filmico. Invece Chirurgo ribelle – alla prima proiezione mondiale al Bergamo Film Meeting – è stato accolto dall’abbraccio della sala che, con una standing ovation e un lungo applauso, ha voluto dimostrare la profondamente ammirazione per la vicenda esistenziale narrata sullo schermo: la vita del chirurgo Erik Erichsen, formatosi in Svezia e poi fondatore di un piccolo ospedale da campo a Aire, in Etiopia.
Gandini non ne tratteggia un ritratto idilliaco, da “eroe”, anzi è molto attento a raccontarne le ombre, fa emergere quelle che per una società occidentale appaiono come comportamenti poco appropriati (per es. il suo modo di rivolgersi ai pazienti) ma come era già chiaro ne La teoria svedese dell’amore, si tratta di un personaggio profondamente affascinante che lo spettatore segue con passione sia nella sala operatoria quando estrae lance da intestini, quando velocemente formula una sua diagnosi, quando fa ciò che ama di più: stare ore in una sala operatoria per svolgere il lavoro di chirurgo generale (figura che in Occidente non esiste più), anche se – per povertà di mezzi – usa come strumenti raggi di biciclette, trapani elettrici da 15 euro, fascette, mollette per capelli e ami da pesca. Anzi, è proprio la sua inventiva, il suo cercare di risolvere le situazioni più complesse che rende il medical drama raccontato da Gandini ancora più interessante e lontano da discorsi spesso fatti di tante teorie e pochi atti concreti.
E, rispetto al doc precedente, Chirurgo ribelle ha la possibilità di fare emergere maggiormente la dimensione familiare del dott. Erichsen, vale a dire il rapporto con la moglie Sennait con la quale condivide anche il lavoro in corsia.
Il regista italiano, classe 1967, nella nostra intervista, ci racconta come ha lavorato su un doc di soli 50 minuti che ha il pregio di avere un ottimo ritmo sia quando deve saper raccontare la tensione di una sala operatoria, sia quando sa rallentare per soffermarsi sull’aspetto più intimo di due persone che hanno rivoluzionato la loro esistenza per donare, a chi ha bisogno, competenze e umanità. Gandini regala alla macchina da presa lo spirito ribelle di un uomo, allergico alla burocrazia, pronto alle sfide quotidiane in casi clinici difficil e ne coglie la potenza vitale di un uomo all’apparenza minuto e che, nell’ultima parte del documentario, sa trovare la forza di inventarsi un’altra vita quando ritorna – ormai pensionato – in Svezia. E com’è tipico del cinema di Gandini il lavoro per lo spettatore è quello di analizzare i contrasti e rimanerne profondamente affascinato.
Dopo l’anteprima mondiale al Bergamo Film Meeting il documentario uscirà nelle sale italiane il 12 giugno, distribuito da Lab80 Film.