Dalla nostra inviata LIA COLUCCI
Presentata alla VI Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma nella sezione Alice nella città, la versione rimodernata della splendida fiaba de Il Re Leone, capolavoro d’animazione Disney, diretto da Rob Minkoff e Roger Allers nel 1994 e in questa occasione presentato nella sua nuova veste in 3D. Il film, che negli anni Novanta vinse l’Oscar per la Migliore Colonna Sonora Originale (Hans Zimmer) e la Migliore Canzone originale (Can You Feel The Love Tonight di Elton John e Tim Rice), narra le vicende del piccolo Simba (la storia è tratta da un cartone animato giapponese), un cucciolo di Leone, predestinato a diventare re. Il padre Mufasa è il capo del branco, riverito e ammirato da tutti gli animali, tranne che dal perfido fratello Scar che, nella migliore tradizione, ambisce al trono e trama per la morte sia di Mufasa che di Simba. Con un inganno, Scar raggiunge il risultato di far morire Mufasa e di far sentire colpevole Simba, che scappa terrorizzato nella foresta, lontano dal branco. Da qui ci troviamo di fronte a una sorta di bildungsroman (romanzo di formazione) in cui il leone cresce, grazie alla conoscenza di due nuovi amici: un facocero di nome Pumbaa e la smaliziata mangusta Timon, che lo iniziano alla loro filosofia di vita che si riassume in due parole: “Hakuna Matata”, che nella lingua Suhahili significa “senza preoccupazioni”.
Ma risuonano nella mente del giovane leone anche le parole paterne sul “Cerchio della Vita”, e quindi sul senso della morte e sul principio di responsabilità, parole che gli ricordano sia la compagna d’infanzia Nala, che poi diverrà sua moglie, che Rafiki, il saggio babbuino sciamano. Così finalmente Simba troverà il coraggio di affrontare il perfido zio Scar e le sue pericolose iene, per riprendersi il posto che gli è dovuto. In questo caso siamo di fronte ad una delle più belle favole animate dalla Disney, che il 3D arricchisce di profondità aumentando la suggestione del racconto. Il produttore Dohn Han ed i due registi hanno studiato ogni singola immagine del film nel processo di conversione, nel tentativo di massimizzare l’effetto di profondità della pellicola. Il livello di accuratezza tecnica produce un risultato straordinario che dona al film una nuova prospettiva. Ma quello che più interessa è questa impronta filosofica che contrappone al nichilismo il senso di responsabilità, cosa che finirà con il prevalere nella vita del protagonista. Per un approccio pedagogico ma senza moralismi, realizzato in maniera davvero raffinata e convincente.
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