Forse solo un’apocalisse potrà un giorno mettere fine alla società borghese. O magari ci penserà un manipolo ben addestrato di eremiti neo-primitivi, penetrando uno ad uno in quelle villette a schiera dove come tanto cinema e non solo di genere horror (pensiamo anche alla filmografia di David Lynch) ci ha insegnato, da sempre si annida il male. Parte proprio da questo assunto Borgman di Alex Van Warmerdam, satira feroce sulla presunta società del benessere presentata in concorso al 66/esimo Festival di Cannes. Protagonista è Camiel Borgman (l’istrionico interprete olandese Jan Bijvoet) che, quando la sua comunità sotterranea viene stanata dal bosco in cui vive in rigorosa povertà, si insinua nella villetta di una famiglia benestante stravolgendone la vita e le convenzioni.
Tra poselitismo filosofico, pozioni velenose, prestidigitazione e scatti di granguignolesca violenza, l’uomo darà inizio ad un‘inesorabile rieducazione della famiglia media contemporanea, da troppo tempo arroccata nel suo tiepido e soporifero microcosmo. Spietata e irriverente la pellicola olandese mira dunque disvelare gradualmente la mostruosità che si nasconde dietro alla graziosa facciata del benessere borghese, inanellando trovate e gag capaci di suscitare copiose risate a denti stretti. Con stile algido e lucido Alex Van Warmerdam mette in scena la sua farsa grottesca ma, a parte la presenza sullo schermo del suo mattatore, non riesce a fare della sua metafora il nucleo di una narrazione compiuta. Borgman gioca infatti un po‘ troppo a carte scoperte e, una volta innescata la sua spirale distruttiva e autodistruttiva, si prodiga in invenzioni di vario stampo che potrebbero anche non avere mai fine. Forse troppo debitore dell cinema di Michael Haneke, al punto di risultare un intreccio tra Caché e Funny Games, abilmente mixati a The Village di Shyamalan e a qualche suggestione visiva e narrativa che riecheggia quelle della serie TV Lost, Borgman, cogente esempio di intrattenimento intelletualistico genialoide, dimostra in fondo ancora una volta che una buona idea non basta a fare un film che possa dirsi completamente riuscito.
DARIA POMPONIO