Dal nostro inviato Raffaele Meale
Presentato alla Berlinale 2012 nella sezione Panorama, Xingu, opera terza del cineasta brasiliano Cao Hamburger, dopo l’esordio Castelo Rá-Tim-Bum, o Filme e l’assai più conosciuto L’anno che i miei genitori andarono in vacanza, permette di ridare la giusta visibilità a tre personalità di spicco della storia politica e sociale del Brasile contemporaneo. I tre fratelli Villas Bôas (Orlando, Claudio e Leonardo) hanno infatti rappresentato la prima spinta concreta verso una comprensione dell’universo degli indios amazzonici, per secoli visti come selvaggi e trattati come bestie dal sistema coloniale portoghese prima e dallo stato brasiliano in seguito. Attraverso un lavoro decennale che li ha accompagnati dal 1943 fino alla morte, i Villas Bôas sono riusciti non solo a sdoganare l’idea dell’indio come un membro rispettabile della società da preservare lasciandolo vivere nel proprio ambiente, ma anche a dare vita al più grande parco indigeno della nazione, lo Xingu da cui prende ispirazione il titolo del film di Hamburger.
Per il regista paulista si tratta dunque di un’ulteriore incursione nella storia moderna del Brasile, ma se nel precedente film il punto di vista era quello di un bambino, inconsapevole testimone della dittatura militare e fascista, qui il discorso si ribalta completamente: Orlando, Claudio e Leonardo non sono stati testimoni esterni degli eventi narrati, ma ne sono stati i fautori, gli ispiratori principali. Xingu fin dalle primissime inquadrature, con la voce fuori campo di Claudio Villas Bôas ad accompagnare le immagini, si palesa come il più classico dei film biografici: incentrandosi in particolar modo su Claudio, Hamburger fa procedere la sua narrazione seguendo il corso cronologico degli eventi e sottolineando i punti di passaggio più rilevanti. Quel che ne viene fuori assume dunque i contorni di un bignami, riassunto probabilmente fedele ma comunque parziale – molte sono le ellissi temporali che spezzano il discorso e fanno procedere l’azione – di quel che accadde tra il 1943 e il 1961 (il film si ferma nel momento in cui l’area protetta dello Xingu diviene realtà, aprendo nel finale alle nuove gesta compiute da Orlando e Claudio dopo la morte del fratello minore per infarto): il ritmo a volte si fa così concitato che gli stessi avvenimenti sembrano soffrirne, privati come sono del respiro che avrebbero meritato. Anche le psicologie dei tre fratelli vengono inevitabilmente tagliate con l’accetta, e non pochi passaggi potrebbero risultare a dir poco bruschi per coloro che non hanno particolare dimestichezza con le gesta dei tre coraggiosi avventurieri. Ciò che risulta apprezzabile, al di là del discorso storico, è semmai l’intenzione (non coerente per l’intero film) di leggere ciò che prende corpo sullo schermo con lo spirito del film d’avventura di un tempo, non lasciandosi corrompere dal grigiore della realtà storica. Anche per questo motivo Xingu zoppica quando deve affrontare i vari problemi che i fratelli ebbero con il governo brasiliano, e se ne tiene più che può alla larga. Opera immatura ma a tratti affascinante, compensa i buchi di sceneggiatura con un afflato democratico che non può non conquistare. Difficilmente, comunque, lo si potrà vedere in Italia.