Il cinema occidentale è abituato a narrare storie di guerra e di epiche battaglie per la libertà. Ciò che solitamente gli riesce più difficile, invece, è guardare oltre e dentro l’ ideale, metterne a nudo le contraddizioni, i costi meno immediati, le conseguenze imprevedibili e non sempre desiderate. Forse questo grande tabù non sarà mai superato dal cinema, soprattutto se di genere storico, ma ultimamente qualcosa sembra muoversi in quell’Europa tuttora nascosta dietro a un’altra barriera filmica coriacea, addirittura più resistente della stessa Cortina di ferro. È l’incapacità o la mancanza di coraggio per volgere lo sguardo verso il suo passato più recente, quello fatto di conflitti intestini sanguinosi e cruenti, della deflagrazione violenta di scontri tra idee che fino a poco tempo fa erano in grado di mettere a ferro e fuoco intere città e nazioni.
Uomini senza legge (Hors la loi, cioè fuori dalla legge, è il più significativo titolo francese) è un esempio piuttosto calzante della nuova tendenza a tirare fuori gli scheletri dall’armadio e portare nelle sale epopee generazionali immancabilmente tragiche e immancabilmente controverse, molto più per la delicatezza dei temi trattati che per motivi puramente cinematografici. A differenza di altre operazioni simili (come La Banda Baader-Meinhof, If not us, who? in Germania o, con le dovute distinzioni, Il Grande Sogno di Michele Placido o La Prima Linea di Renato De Maria in Italia) la pellicola del regista francese Rachid Bouchareb non si concentra sui fatidici anni di piombo ma su un’altra ferita ancora aperta della Storia d’Oltralpe su cui mai il cinema aveva osato esprimersi in maniera così diretta, vale a dire la decolonizzazione dell’Algeria e gli scontri con il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), il movimento clandestino che ne sostenne l’indipendenza attraverso la lotta armata sia sul suolo arabo che europeo. Costruita a partire da testimonianze e interviste raccolte dai realizzatori del film, la trama si dipana lungo l’esistenza di tre fratelli algerini, che dal 1945 fino al 1961 si ritrovano coinvolti a vario titolo in una battaglia condotta attraverso il sangue e il terrore, in cui vittime e carnefici si confondono in una folle escalation di violenza senza freni e senza più ragioni.
Un pezzo di Storia evidentemente traumatico per entrambe le parti del contendere e tra l’altro ancora non del tutto metabolizzato, come dimostrano le polemiche e addirittura le manifestazioni suscitate dalla presentazione di Hors la loi l’anno scorso a Cannes, cioè ancor prima di diventare uno dei candidati all’Oscar come miglior film straniero. In realtà il film restituisce con una certa complessità le dinamiche legate alla funesta lotta dell’FLN, dalle sue origini (interessante ad esempio l’intreccio con la guerra in Indocina, che addestrò alla violenza e alla voglia di liberà intere armate provenienti dalle colonie francesi) al modo piuttosto miope con cui fu portata avanti la sua repressione da parte delle autorità francesi (il fiancheggiamento della Main Rouge, organizzazione terroristica rivolta contro i membri del Fronte algerino). Il vero problema è che come tutte le opere di questo genere, anche quella di Rachid Bouchareb soffre di limiti intrinseci quali l’estrema semplificazione e piattezza dei personaggi principali (che ricoprono stereotipi forse funzionali all’illustrazione del conflitto ma non adatti a restituirne l’umanità) o la continua necessità di mantenere il piede in due staffe mettendo sempre in luce i torti e le ragioni di tutte le parti in causa. Basti pensare che addirittura il finale viene risolto attraverso il trionfo della fratellanza sulla libertà, come a voler dire che solo facendole camminare a braccetto si può sperare di raggiungere il terzo utopico ideale fondante della democrazia francese, e occidentale, cioè la tanto agognata ma difficile Égalité.
Se non si tratta proprio di un’opera retorica, Hors la loi soffre comunque dell’ingenuità e del patetismo proprio di tutti i film a tema, senza contare il carattere un po’ patinato della ricostruzione storica che sembra rifarsi al Padrino più che alla vera Francia del primissimo dopoguerra. Paese di cui però Bouchareb ci fa vedere tutta la miseria e i soprusi, con le prime baracche in legno delle banlieue pronte a prendere fuoco a uso e consumo della polizia e delle sue angherie: un messaggio politico che rischia di farsi ancora più potente nel contesto odierno, in cui l’immigrazione dalle ex-colonie è tornato a costituire un tema di assoluta attualità.
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