Dalla nostra inviata DARIA POMPONIO
La ricerca della felicità è un diritto costituzionale negli States, ma si sa, in Europa siamo assai più prosaici e preferiamo, inoltre, non accostare questo ideale al benessere economico, probabilmente anche a causa della fede cattolica, che serba un posto in paradiso per i poveri, mentre i ricchi per accedervi devono passare per la proverbiale cruna dell’ago. Presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, Une vie meilleure di Cédric Kahn racconta quel che resta dell’amore, ma anche dell’ambizione personale, nei tempi della crisi economica. Toccante love story proletaria, la pellicola ci riporta gli eventi in cui incorrono l’aspirante chef Yann (Guillaume Canet) e la cameriera di origine libanese Nadia (Leïla Bekhti) quando decidono di aprire un ristorante alle porte di Parigi. Tra mutui, debiti e squallidi strozzini, i due finiscono presto per separarsi: lei si trasferisce in Canada, dove ha trovato un lavoro più remunerativo, mentre lui resta in patria con Slimane (Slimane Khettabi), il bambino di Nadia, con il quale instaura un forte legame.
Assai dettagliato nella descrizione delle difficoltà economiche che la coppia incontra sulla sua strada e che finiranno per intaccare il loro amore, Une vie meilleure conferma l’abilità di Kahn (autore di L’avion e Roberto Succo) nel tratteggiare caratteri mai banali e sentimenti sinceri, quotidiani. Perno del film è il personaggio interpretato da Canet (attore in Last Night e regista di Piccole bugie tra amici, entrambi visti lo scorso anno al Festival di Roma), il cui irresistibile vitalismo riesce a trascinare lo spettatore in una spirale nefasta di debiti e piccola malavita. La forza di volontà, l’impetuosità al tempo stesso erotica e imprenditoriale e la sostanziale naiveté nei confronti della vita del personaggio di Yann, rendono infatti sopportabile ogni difficoltà e scandiscono il ritmo dell’inevitabile affezione tra lui e il piccolo Slimane. Questa relazione emerge pian piano, cristallizzandosi attorno ad alcuni eventi non banali e ben predisposti dalla sceneggiatura, scritta da Kahn con Catherine Paille e tratta dal romanzo Pour une vie plus douce di Philippe Routier. Pensiamo soprattutto al momento in cui Yann scopre che Slimane ha rubato un paio di costosissime snickers da un negozio e alla successiva scena della pesca, sorta di cerimonia d’iniziazione che vede il piccolo gridare inorridito di fronte allo sgombro appena pescato. Kahn dirige il film con piglio sicuro, mosso dalla ferma volontà di mostrare come l’onestà oggi non venga più premiata, in una società che non solo non garantisce né foraggia la ricerca della felicità e del benessere, ma punisce la povertà come se questa fosse una colpa. Restando in equilibrio tra romance e atto d’accusa diretto nei confronti del Capitalismo, Une vie meilleure conquista lo spettatore con uno schietto sentimentalismo che rasenta la commozione, senza esplicitamente ricercarla.