Dal nostro inviato ERMINIO FISCHETTI
Dopo The Deep Blue Sea, ancora un film che lascia senza fiato nel focus Occhio sul mondo sulla Gran Bretagna al Festival Internazionale del Film di Roma: Tyrannosaur, già osannato all’ultimo Sundance dove ha vinto come miglior film ricevendo anche dei premi speciali della giuria sia per il regista che per i due interpreti. Opera prima scritta e diretta da un attore di grande talento come Paddy Considine, Tyrannosaur è un potente film di solitudini laceranti e dolori sottesi in una Leeds fatta di violenza e rapporti anaffettivi. Joseph è un vedovo che, morta la moglie e perso il lavoro, sfoga la sua rabbia nell’alcol e nella violenza. Hannah è una donna della piccola borghesia silenziosa e religiosa che subisce ripetute violenze fisiche e psicologiche da un marito instabile. I due si incontrano e presto cominceranno a conoscersi e a volersi bene.
Con grande asciuttezza e solidità, Considine si rifà a un solido cinema di denuncia sociale sulla scia di un Ken Loach d’annata per raccontare con realismo la working class britannica. Ne prende infatti anche uno dei suoi attori meglio utilizzati, Peter Mullan (premio a Cannes per l’ormai classico My Name is Joe), un fisico e un volto che sono la rappresentazione di quei luoghi tetri e solitari, per mettere in scena senza la minima sbavatura situazioni di violenza portata agli estremi: uomini ubriachi che uccidono a calci il proprio fedele cane, donne il cui marito urina loro addosso mentre dormono, bambini che vengono sfregiati per sempre da un cane che ha detto basta alle angherie, ma se l’è presa con la persona sbagliata. Con occhio onnisciente, tanto che la macchina da presa si mantiene distante dai personaggi e dalle loro sofferenze per concedergli dignità, Considine racconta Hannah e Joseph con sensibilità senza mai essere ricattatorio, grazie a una verosimiglianza psicologica che ne evidenzia i loro pregi e i loro limiti. La compattezza della sceneggiatura si riversa anche nella confezione, nella regia – tanto evidente quanto pulita – e nei due attori principali: se Peter Mullan è in fondo il volto e l’espressione di questa tipologia di cinema e la sua performance è ricca di sfumature, Olivia Colman invece è dirompente nel suo esordio cinematografico.
Tyrannosaur racconta di rimpianti che non sono soggetti ad una seconda possibilità e amori latenti che offrono invece una speranza, sospesa, lasciando l’amaro in bocca; un lavoro che non accetta falsi moralismi – sulla scia degli angry men degli anni Sessanta – ed è in tutto e per tutto un’opera prima d’autore arrabbiata e priva di compromessi dove il realismo è talmente scottante, in particolare nella sua veste interiore, che non lascia spazio a niente altro che la verità. Che è così difficile da esprimere da diventare una condizione sempre più rara, al cinema come nella vita.
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