Commedia classica e disillusione moderna
21/01/10 – Jason Reitman è uno dei più classici esempi di figlio d’arte fortunato, prole di uno dei più intelligenti registi di commedie degli anni ’80 e arrivato al successo con la verve e la frizzantezza parziali di film come Thank You for Smoking e Juno, il cui Oscar per la sceneggiatura ha distratto dalla meccanicità del prodotto e dal mezzo bluff della sua spregiudicatezza. Giunto al terzo film da regista, Reitman potrebbe essersi preparato la strada per il salto di qualità, non solo perché sta raccogliendo recensioni, candidature, premi che ne fanno uno dei favoriti dell’imminente Award season, ma soprattutto perché ha realizzato il suo miglior film smussando i difetti dei precedenti. La storia ruota attorno a una ditta di cacciatori di teste, cioè quelle oscure figure professionali che vengono assunte dalle aziende in crisi per licenziare i propri dipendenti, possibilmente offrendo indennizzi ed evitando conseguenze legali: Ryan è il migliore dei dipendenti, tanto da aver fatto dell’aeroporto e degli alberghi che lo ospitano la sua vera casa. Ma l’arrivo della giovane Natalie, con un’idea che potrebbe rivoluzionare il lavoro e lasciare in ufficio i dipendenti, minaccia la presunta stabilità di Ryan e il suo bisogno di relazioni labili. Una commedia malinconica e disillusa sul lavoro nell’America della crisi, scritta da Reitman con Sheldon Turner sulla base di un romanzo di Walter Kim, che decide in modo coerente e dichiarato di fondarsi sulle strutture della commedia classica hollywoodiana, ms sa anche quando svoltare e guardare alla modernità del cinema liberal tra gli anni ’70 e ’90.
Scritto prima che la crisi mondiale calasse la sua accetta su milioni di persone, il film racconta una delle facce meno chiare e più “laide” del sistema capitalistico statunitense, compresi influssi e risvolti su chi deve approfittare dei tracolli altrui. La paura della morte, simbolica in questo caso, è diventata paura dei rapporti, degli incontri e degli scontri, tanto di chi preferisce una vita aerea e disimpegnata alla solidità stabile quanto di chi non riesce a far fronte alle proprie responsabilità, delegando altri ai compiti sporchi. Come avvoltoi nel deserto, Ryan e soci volano e mangiano dove possibile e restano spiazzati quando qualcuno gli offre la comodità di un banchetto. L’aspetto lavorativo diventa così uno specchio dei disagi affettivi del protagonista: Reitman usa la dinamica del know-how ma la cambia di segno, mostrando un anti-eroe che fa un lavoro scomodo, ma in realtà, nella sua rincorsa alle strutture classiche del cinema statunitense, parla soprattutto di rapporti familiari e bisogni d’amore, riuscendo a dosare in maniera molto più interessante, meglio pensata e costruita, l’humour e l’ironia con una malinconia che pare più sincera delle furberie dei film precedenti.
Come detto, è evidente l’ascendente classico della sceneggiatura, dalla costruzione dei personaggi alle dinamiche dell’intreccio, dagli elementi propri dell’intrigo alla struttura fatta di ripetizioni e dicotomie in cui tutto pare condurre all’unione dei due protagonisti in nome dell’amore, prima che la malinconia e una curiosa vena pessimistica di fondo s’impossessino del film. Reitman gestisce tutto in modo notevole, tra racconto classico (l’uso dei two shots), montaggio moderno e curiosi quanto acuti tocchi documentari. Sulla prova di George Clooney avrete già parecchie testimonianze dai rotocalchi, noi preferiamo sottolineare, la bravura, l’espressività, la sensualità di un attrice come Vera Farmiga. Al centro del momento più emozionante del film, un vero colpo al cuore che pare una dichiarazione di maturità superiore alle battutine di una qualunque adolescente incinta.
EMANUELE RAUCO
Titolo originale: Up in The Air
Produzione: USA 2009
Regia: Jason Reitman
Cast: George Clooney, Vera Farmiga, Anna Kendrick, Jason Bateman, Danny McBride.
Genere: commedia
Durata: 109′
Distribuzione: Universal Pictures
Data di uscita: 22 gennaio 2010
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