“Via Appia” di Paolo De Falco: film complesso e variegato pieno di suggestioni
(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
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30/11/10 – Via Appia di Paolo De Falco, nel concorso Italiana.doc al 28° Torino Film Festival, è un film potente che rifiuta programmaticamente ogni tipo di etichetta, quali potrebbero essere le distinzioni tra documentario e fiction. Non è facile parlare di un film che inizia in modo dissacrante ad Ariccia con una satira dei prodotti tipici (in questo caso la porchetta) e finisce con una veduta del luogo in cui Virgilio scrisse che si trovava la porta degli inferi (in località La Mefite nell’Alta Irpinia a due passi dall’Appia per l’appunto). De Falco decide di seguire tre storie che ruotano, attraversano, percorrono, rivisitano e riscoprono la via Appia, partendo da Roma e passando per la Campania e la Puglia. In primis abbiamo Antonio Pascale, scrittore e intellettuale casertano, che fa un viaggio in Irpinia, quindi vediamo Giacomo De Stefano, navigatore solitario, che con una barchetta percorre ogni tipo di fiumiciattolo situato nei pressi dell’Appia e infine una famiglia pugliese appassionata di cavalli che galoppa per i grandi tavolieri della Puglia in cerca di una sorta di wilderness. Ciascuna storia è intrecciata all’altra non per questioni meramente narrative quanto per suggestioni e per progressiva stratificazione del discorso complessivo.
E lo scopo di De Falco sta nel ritrovare l’arcaico, il mitico e il primigenio del nostro Sud, terra da un lato dimenticata, avversata e denigrata e dall’altro imbellettata a uso e consumo di una vulgata turistica (si veda la moda della taranta). Quel che è incredibile è che De Falco ci riesce, riesce cioè a ritrovare quel pre-storico che tutti ormai danno per scomparso; assistiamo dunque meravigliati alla imponente bellezza di una natura non addomesticata. Ed è questo un segno che richiama immediatamente alla memoria il riferimento del cinema herzoghiano per quel vigore inesausto in cerca del mito, dell’immagine (e dell’inquadratura) originaria. Via Appia è difatti pieno di momenti straordinari, fatti di pura osservazione; in tale contesto può forse, di primo acchito, cozzare l’estrema artigianalità dei mezzi con una colonna audio che risulta a tratti inadeguata e con una serie di inquadrature in controluce. Ma una volta che emerge la visione d’insieme di De Falco ci si rende conto che anche l’imperfezione tecnica rientra in un unico discorso progressivo che tende via via a dissolvere l’immagine e il suono in una sorta di astrattismo che contraddistingue i momenti conclusivi del film (quelli che portano agli “inferi”).
Il film di De Falco è perciò un lavoro complesso e ambizioso come se ne vedono rarissimamente in Italia, un film che meriterebbe più di una visione e, persino, una serie di tavole rotonde, vista la quantità temi che riesce ad affrontare. Non a caso, in sala era presente anche Felice Floris, rappresentante del Movimento Pastori Sardi, che per l’appunto è in lotta a difesa di una tradizione pastorizia oggi a rischio.