Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
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In Henry di Alessandro Piva, la fotografia di un sottobosco romano tra poliziotti corrotti, minoranze etniche che delinquono e non sono integrate nel territorio. Per quanto sia molto apprezzabile il lavoro fatto con gli attori che spesso non sapevano della presenza della videocamera accesa o dell’utilizzo di alcune loro improvvisazioni come scene vere e proprie del film, delude purtroppo l’insistenza su determinate inquadrature ‘televisive’. Un rischio e una volontà di originalità che riesce ad esprimersi solamente a metà. Già presentato al Festival di Torino del 2010, dove vinse il premio del pubblico, e in uscita in sala a partire dal 2 marzo, il terzo film del regista salernitano è la libera trasposizione dell’omonimo romanzo di Giovanni Matrangelo (ed. Einaudi) e Piva ha scritto di essere rimasto affascinato “dalle suggestioni di un universo interstiziale e oscuro, affascinante e labirintico insieme che ho percepito sin dalla prima lettura”. Dentro e fuori. Dentro il mondo di Nina (Carolina Crescentini) che vive facendo l’insegnante di aerobica, ma che con Gianni (Michele Riondino) inizia un percorso negli inferi della tossicodipendenza. Logica conseguenza è il fuori: il contatto con i malavitosi meridionali e gang africane che si contendono il proficuo mercato dell’eroina, chiamata “Henry”.
Michele Riondino tanto apprezzato in Dieci inverni e in Il passato è una terra straniera, nelle poche scene a disposizione è molto intenso e credibile, mentre Carolina Crescentini con un ciuccio che staziona perennemente in bocca – soprattutto nelle scene melodrammatiche in casa sua alla presenza di poliziotti che invece di interrogarla fanno apprezzamenti alle sue spalle sul suo aspetto – è costretta a un ruolo ricco di insopportabili clichè. Tra le poche cose che funzionano e creano belle suggestioni ci sono le immagini del Tevere, elemento simbolico del film (si pensi in particolare al bellissimo movimento di macchina finale con Riondino vicino all’isola Tiberina con l’acqua che scorre impetuosa). Sarà che La CapaGira fu un film così sorprendente e sperimentale che ci si aspettava una seria evoluzione in quella direzione. Sarà che non si può utilizzare personaggi stravisti in determinati ruoli, ma è anche giusto aspettarsi di più da determinati registi.
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