Dalla nostra inviata DARIA POMPONIO
Ascolta le interviste di RADIOCINEMA ai protagonisti del film:
Mentre l’informazione sugli sbarchi degli immigrati a Lampedusa comincia a latitare, affidandosi a slogan giornalistici privi di spessore socio-culturale, ecco che il nostro cinema si fa carico della sua personale rilettura della contemporaneità, con slancio creativo, umanistico e la ferma volontà di non arrestarsi alla superficie. È quello che succede in Terraferma, attesissimo ritorno di Emanuele Crialese nelle location che ne decretarono il successo, prima internazionale, poi anche nazionale (nemo profeta in patria) con Respiro, nell’ormai lontano 2002. Sospeso tra istant movie realistico e fiaba surreale, Terraferma, presentato in concorso a Venezia 68, è la storia di una famiglia di pescatori, dell’incontro tra due donne di nazionalità diverse, ma soprattutto di un’isola immersa nel Mediterraneo, meta predestinata dello sbarco di migranti dal nord Africa e di turisti dal nord Italia. Il giovane Filippo (Filippo Pucillo) ha perso il padre in mare e vive con la madre Giulietta (Donatella Finocchiaro), donna sola e volitiva che sogna per lui una vita “migliore” sul continente. I suoi modelli virili di riferimento sono il nonno pescatore (Mimmo Cuticchio), fedele alle regole del mare, e lo zio Nino (Giuseppe Fiorello), proprietario di uno stabilimento balneare. La vita in mare è dura e lo Stato offre una lauta ricompensa per la rottamazione del peschereccio di famiglia, con quei soldi si potrebbe foraggiare lo start up nel business del turismo balneare. Giulietta e Nino sono convinti che questa sia la giusta via all’agognato benessere, ma nonno e nipote non sono dello stesso avviso. L’arrivo in contemporanea di turisti e immigrati è destinato a sconvolgere per sempre le loro vite e a dare un nuovo significato al termine “clandestinità”, forse un nuovo sinonimo per libertà individuale e legge morale.
Vergato dal regista con la collaborazione di Vittorio Moroni, lo script di Terraferma è un solido compendio di tensioni etiche di scottante attualità. Da un lato abbiamo infatti la legge non scritta del mare, che impone il soccorso ai naufraghi, dall’altra le cieche leggi dello Stato, che puniscono chi offre aiuto ai “clandestini”. Crialese dirige con piglio sicuro, intesse gli elementi del racconto, cala la rete in una realtà bruciante e complessa. La regia si concentra sulla messinscena di un lavoro nobile e antico come quello dei pescatori, sa cogliere con raggelante visionarietà l’esuberanza posticcia degli animatori turistici, apre a squarci visionari e prodezze stilistiche mozzafiato. Più vicino a suggestioni felliniane che all’etica dell’estetica del neorealismo (siamo lontani da La terra trema, cui pure viene da pensare), Terraferma è un film importante e duro, ma che è anche fatto per piacere. L’alternarsi di slanci registici, ora puramente estetizzanti, ora vistosamente grotteschi e la rindondanza degli elementi narrativi alla base del plot (legge del mare/legge dello stato, invasione di turisti/sbarco di clandestini) fa pensare che questo sia un po’ meno un film di Crialese e un po’ più un film Cattleya, ovvero un prodotto di impeccabile confezione e di ampia portata spettatoriale. Una pellicola pensata dunque per coinvolgere un vasto pubblico e attirare l’attenzione del mercato estero. Forse è questa la giusta via di mezzo tra film d’autore e prodotto “industriale”, di certo ci sembra che indichi la strada per un blockbuster italiano che non sia per forza una commedia.
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