Una domanda nasce alla fine della visione di Mes Chères Etudes, titolo originale del film di Emmanuelle Bercot: perchè la distribuzione italiana, con molti film a disposizione che restano nei fondi del magazzino, distribuisce un film per la tv francese (e non dei migliori)? Certo, l’argomento è di quelli che in un talk-show pomeridiano farebbero discutere, ma cosa c’entra il cinema con il quinto lungometraggio – terzo per la tv – della regista? La domanda resta inevasa a partire dalla trama: Laura è una studentessa che, come altre 40.000 ci fanno sapere, per mantenersi agli studi si prostituisce. Vorrebbe uscirne fuori, ma la tentazione del denaro vince. Come far convivere morale e bisogno? Chi si ricorda il vecchio contenitore Donne al Bivio non faticherà a riconoscere nella sceneggiatura della regista (tratta dal romanzo auto-biografico di Laura D.) il tipico esempio di dramma realistico fatto a uso e consumo del dibattito a scapito della riflessione e della messinscena.
Aperto e chiuso da una cornice del tutto insensata in cui Laura, con parrucca bionda e occhiali da sole, rilascia un’intervista in un programma di cronaca (quando si dice mescolare realtà e finzione), il film dovrebbe raccontare il disagio e la povertà studentesca mettendo in luce allo stesso tempo il problema socio-politico dei costi universitari e dell’”indigenza” giovanile e quello morale del confine tra lavoro e piacere nell’ambito della prostituzione; Bercot però si concentra quasi del tutto sul lato sessuale della questione e, con uno sguardo vagamente morboso, mette in scena un viaggio dall’intento scopertamente didattico nei meandri della perversione. Il tutto più goffo che casto, e ambiguamente ipocrita nei risvolti moralistici, aggravato da una sceneggiatura fatta di situazioni tagliate con l’accetta e una regia che prova a celare la piattezza della realizzazione (anche nei limiti del mezzo) con eccessi di volume, rumori e musiche poco consoni. Deborah François, la disinibita protagonista, se la cava mostrando più del semplice corpo nudo e in definitiva gli attori sono credibili, ma non abbastanza da sopprimere quel senso di spreco che fa sì che molto buon cinema venga tenuto nascosto e che la brutta tv cominci a inficiare anche gli schermi, seppure estivi.
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