Sbirri

08/04/09 - Evidentemente, in tempi di crisi plurime che comprendono molti settori dell`attualità , c`è bisogno di...

Finto realismo para-televisivo

sbirri08/04/09 – Evidentemente, in tempi di crisi plurime che comprendono molti settori dell`attualità , c`è bisogno di realtà , di conoscenza, di comprensione: i film sui giornalisti o intenti a “scomporre” i meccanismi del reale si moltiplicano. Anche in Italia non potevamo non tenerne conto, ovviamente nel modo peggiore, con questo sorta di melodramma verità  sulla droga e sui poliziotti che la combattono, in cui l`appiglio aulla cronaca diventa pretesto per un lacrimevole racconto, piuttosto irritante. Raoul Bova, vera ragion d`essere produttiva di un film targato Mediaset-RTI, interpreta Matteo Gatti, reporter televisivo d`assalto che, dopo la morte del figlio per assunzione di ecstasy, va a Milano, apparentemente per fare un servizio sulla droga, in realtà  per saperne di più sul decesso. Il regista assieme a Duccio Camerini assembla vere operazioni di polizia, interrogatori e blitz con improvvisazioni e stralci di fiction, confidando che la macchina a mano, la videocamera, i non attori possano dare verismo: ma le strade di The Shield s`incontrano con quelle di Lucignolo. Parlando di droga, vite spezzate, realtà  urbane devastate, ma anche di poliziotti onesti e non stereotipati e di persone che usano il lavoro per non pensare (se non risolvere) alla propria vita, il film non trova il verso giusto: perchè in questa pellicola urlatissima, le scelte stilistiche non danno coerenza anzi la tolgono, perchè l`uso della videocamera amatoriale che riprenderebbe le operazioni e l`infiltrazione di Gatti nella squadra di polizia diventa indiscriminato, ripetitivo, perfino voyeuristico quando dovrebbe mettere in scena – sguardo in camera – i sentimenti dei personaggi e le pretese di realtà  mascherando la piattezza dell`insieme, la superficialità  nel parlare di drogati e loro familiari.

D`altronde, in una sceneggiatura che mescola generi, format e stili narrativi senza capirne gli specifici, c`è una frase che rappresenta l`intera operazione: sul finale (deplorevole), Bova riprende la moglie incinta e dice rivolto al suo capo “Ho capito che è questo il film che volevo realmente girare”. Infatti, il film che voleva girare Burchielli è un dramma familiare banale, ricattatorio e di rara volgarità  intellettuale che prende in prestito l`esperienza del regista come documentarista (e infatti le riprese “live” degli appostamenti e del lavoro poliziesco sono la cosa migliore e più sprecata) per piegarla alle solite confessioni piangenti e familiste (Bova che urla, crocefisso in bocca, è l`immagine più horror del 2009). E proprio Bova è il perno su cui non riesce a ruotare nulla, vedendo scontrare la propria limitata espressività  con le necessità  di un personaggio che dovrebbe crearsi di scena in scena (ma Simonetta Solder fa di peggio) e che invece rappresenta l`emblema del fallimento miserevole di un progetto dal ben altro potenziale.

(EMANUELE RAUCO)

Titolo originale: Sbirr
Produzione: Italia 2009
Regia: Roberto Burchielli
Cast: Raoul Bova, Alessandro Sperduti, Luca Angeletti, Simonetta Solder
Durata: 100′
Genere: docufiction, poliziesco
Distribuzione: Medusa
Data di uscita: 10 aprile 2009

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