Capita che quando un attore di prestigio, e magari non più giovanissimo, non sia più richiesto per film di grande profilo, da Academy Awards per intendersi, venga spostato in film d’azione, a medio budget e di sicuro impatto sul pubblico. È successo a Liam Neeson e ora capita anche a Denzel Washington, ormai star dei film di Tony Scott e protagonista di Safe House, primo film americano dello svedese Daniel Espinosa, che racconta una caccia all’uomo tra spie. Washington è Frost, una spia fuggitiva e traditrice che è stata catturata dopo 10 anni; Ryan Reynolds è Weston, una giovane recluta che custodisce le case sicure, rifugio delle spie, in Sudafrica. Il catturato finisce nella “casa” di Weston per subire un interrogatorio, ma viene liberato da un misterioso blitz: il ragazzo deve così armarsi di coraggio e dare la caccia al traditore, scoprendo però più di un segreto. Scritto da David Guggenheim, il film è una spy-story d’azione che rilegge situazioni da spionaggio classico con il dinamismo della serie di Jason Bourne.
Costruito con l’andamento classico dei due rivali che poco a poco finiscono per conoscersi e capirsi, se non per forza stimarsi, il film lavora sull’etica rambesca del soldato disilluso, che tradisce causa e patria perché si sente tradito dalle stesse, finendo poi per intessere tra inseguimenti, sparatorie e combattimenti una classica dinamica maestro/allievo, se non proprio padre/figlio. Il fatto è che questo sostrato si sposa male con tutta la parte d’azione, Espinosa non riesce a trovare il tono giusto per amalgamarle e si limita perciò a concentrarsi sugli attimi di suspense e violenza lasciando il cuore alla bravura degli interpreti. Che sono una garanzia – in particolare Washington – e funzionano senza intoppi (supportati da colleghi come Sam Shepard e Vera Farmiga): ma superare la poca compattezza in sede di scrittura e regia, il montaggio fin troppo frenetico di Richard Pearson e la retorica poco controllata nei personaggi non è compito che si addica a un attore. Specie se da uomo acchiappa-Oscar è diventato stella di film gradevoli e mediamente avvincenti, ma di cui non ci si ricorda per più di una settimana, quella che basta per salire in cima al botteghino.
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