“The city of your final destination”: con questo film, presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, arriva al capolinea anche l’ispirazione di Ivory
(Dalla nostra inviata Lia Colucci)
17/10/09 – Sembra proprio che James Ivory abbia perso il suo tocco magico, quello che gli permetteva di lasciare i suoi personaggi sospesi nel tempo, inconsapevolmente legati ai ricordi, di far attraversare loro mondi di incoscienza per poi rimanere vittime di una strana nostalgia a cui non si sa neanche dare nome. Questo era il suo cinema più alto, quello per esempio di Quel che resta del giorno, del miglior Antony Hopkins seguito da una straordinaria Emma Thompson. Poi vi è stato il declino de La Contessa Bianca, dove però ancora si respirava l’aria dell’antica grandezza. In The City of your final destination, invece, i personaggi sono terragni aggrappati alle loro identità, terribilmente scoperti, senza alcun segreto. La storia, tratta dal libro di Peter Cameron, narra le vicende di un giovane ricercatore del Colorado che finisce in Uruguay per convincere gli eredi di un noto scrittore latino-americano a concedere l’autorizzazione per scriverne la biografia, ottenendola tra intrighi e piccolissimi colpi di scena. Ivory si cimenta anche con un happy end quasi volgare, conoscendo i suoi precedenti, donandoci una idea piuttosto banale di felicità, legata per lo più al focolare domestico. Eppure se non ricordiamo male era proprio lui l’appassionato di Jane Austin che ritraeva la vita tra quattro mura con ben altra ironia .
Inutile dire che il cast è ottimo: sempre all’altezza della situazione, Antony Hopkins non smentisce la sua fama di grandissimo attore che tenta disperatamente di dare brio ad una commedia piuttosto melensa. In tutta questa placida contemplazione di giochetti di seduzione tra i vari personaggi, spicca la bellezza del paesaggio dell’Uruguay, nelle cui riprese il maestro Ivory trova il suo riscatto. Uscendo da questo film, però, si ha la sensazione di aver perduto qualcosa, di aver svelato un mistero, di essere più miseri di prima. E’ come se qualcuno ci avesse rubato l’identità più nascosta per ridarci indietro un ritratto banale del nostro essere. Insomma, quello che prima erano le lacrime adesso è la noia.