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Complesso e a volte controverso il percorso artistico di Louis Nero, regista indipendente e avanguardista, autore di un cinema che viaggi tra le categorie e le pratiche dell’arte, tra cinema, videoarte, teatro e confusione. Per questo suo 5/o lungometraggio, il regista ha messo più ordine e coerenza alle sue idee per scavare nella figura del misterioso uomo che ipnotizzò l’impero russo all’alba della rivoluzione. Recuperando i diari di Grigorij Efimovic Rasputin, si mette in scena la figura del guaritore, taumaturgo e uomo di spirito, la sua ricerca di una verità ascetica, ma anche il suo difficile rapporto con la famiglia dello zar, dal ruolo di consigliere a quello di vittima di un attentato. Scritto dal regista, il film è un dramma storico-biografico ma soprattutto un film esoterico che più che sui registri della narrazione lavora su quelli della visione.
Il film infatti lavora negli interstizi tra cinema tradizionale e d’avanguardia, tra ricostruzione biografica e fantasia nera, ma anche tra cinema digitale, videoarte ed esperienze audio-visive, creando un film di sovrapposizioni e duplicazioni che scavi nella verità della Storia ma anche, se non soprattutto, dell’immagine: tableaux vivants, riquadri, immagine nell’immagine, piani sonori che si sovrappongono e s’intrecciano per dipingere l’anima oscura e spirituale, funerea e iconica della Russia e dei suoi personaggi. Peccato che a Nero manchi il coraggio per distruggere una struttura a metà tra teatro e biografia didattica e che le sperimentazioni visive siano una revisione dell’opera di Greenaway; ma il film riesce nell’intento di affascinare lo spettatore più aperto e di usare gli attori (tutti doppiati: un’ulteriore duplicazione tra verità e falsificazione) come elementi figurativi. Non è poco, anche se poteva essere di più.
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