Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Immaturi di Paolo Genovese: commedia italiana mainstream, un racconto sempre accomodante, sempre innocuo, sempre “aereo”
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
28/01/11 – Della commedia mainstream italiana attuale si è parlato più volte da queste pagine, e anche Immaturi di Paolo Genovese non fa eccezione. Le varianti narrative, ormai, sono ben precise e limitate, di volta in volta riproposte sotto varie forme combinatorie. Stavolta è “commedia-sui-quasi-quarantenni + commedia corale”. Più, un filo (giusto un filo) di romanticismo a buon mercato. Il risultato non cambia praticamente mai. La scrittura è sempre onesta e professionale, secondo canoni ormai ben definiti di edulcorata comicità, abbinati a convenzioni da fiction televisiva. Nei dialoghi che rasentano questioni sentimentali, soprattutto, l’impronta televisiva risulta sempre ben evidente. Risentimenti da soap opera (vedi la tirata di Giulia Michelini fuori dalla vasca, che non vuol più essere amante), fremiti nei rapporti di coppia già consolidati (la Luisa Ranieri che cerca in Raoul Bova un maggior entusiasmo per l’imminente paternità), battute goffamente stentoree nel conflitto tra maschi (il pugno nei bagni della discoteca).
Tralasciando la premessa narrativa “farlocca” di questo turno (è davvero possibile che lo Stato italiano costringa un gruppo di quarantenni a sostenere di nuovo l’esame di maturità per un vizio di forma che non dipende da loro?), il racconto – come sempre, ma stavolta più di sempre – è condotto nel puro e semplice confronto dialogico tra i personaggi. Che però non sottende mai una realtà di riferimento, non ha mai riflessi in una vera collocazione storico-sociale, bensì postula l’esistenza di un’Italia che non c’è, o non c’è più. O infarcita di macchiette e situazioni tanto vecchie che ormai sul piano della finzione vivono di vita propria (i genitori di Ricky Memphis, la “mamma mammona”, il padre bonario e sottomesso), o di riferimenti all’attualità niente più che posticci. Parlare della dipendenza sessuale ossessivo-compulsiva, è sufficiente per parlare di oggi? Parlare di relazioni e incontri in chat, altrettanto? Parlare dei bamboccioni che non vogliono andarsene da casa, pure? Dipende. Dipende, essenzialmente, dal come lo si racconta. In tal senso, in Immaturi si delinea una perfetta esemplificazione di un modus operandi narrativo sempre più frequente nel cinema italiano mainstream. Ovvero, la distribuzione acritica di cosiddette “problematiche” tra i vari personaggi, caratteristiche che non sempre motivano realmente il successivo sviluppo. O, se lo motivano, lo fanno in modo assai goffo. Si può davvero trepidare sull’amletico dubbio se Ambra Angiolini riuscirà a stare 100 giorni senza fare sesso? Si può parteggiare per lo psicologo Raoul Bova, che fa dell’astinenza dell’amica una profonda motivazione professionale? E, quando l’impresa sarà riuscita, il personaggio cosa avrà dimostrato? Che adesso fa l’amore, e non il sesso… Dio ce ne scampi da questa ondata di neo-perbenismo.
Il tema del “bamboccione”, invece, è più divertente, ma, di nuovo, il filone narrativo è ripercorso come canone, come “figurina”, come categoria sociale a priori, e non incarnato in un vero personaggio. I modelli narrativi italiani delle neo-commedie, così come la tecnica strettamente cinematografica, virano con sempre maggiore aderenza verso i modelli della commedia sentimentale all’americana (una su tutte, la sequenza della colazione in casa-Bova, dove i coniugi si passano gli oggetti come in una coreografia, corredata di musica extradiegetica), ma hanno sempre il fiato più corto dei modelli. Più coraggio, autori!