Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Gorbaciof di Stefano Incerti: la “scuola partenopea” che non fugge dalla realtà, tra potente coscienza cinematografica e capacità di narrare oltre il racconto
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
22/10/10 – Quando si parla dell’anemico cinema italiano medio attuale, della sua tendenza alle narrazioni astratte e fuori da qualsiasi collocazione geopolitica, incapace di narrare, modellizzare o semplicemente adombrare realtà, bisogna sempre fare un distinguo per la cosiddetta “scuola partenopea”, quella formatasi a cavallo tra anni ’90 e 2000. Che vera scuola, probabilmente, non è mai stata, visto che accorpa autori e personalità molto forti e diverse tra loro. Ma che, per grandissime linee, si può identificare per un comune approccio visivo e narrativo, per una condivisa ispirazione di stile, secchezza e coerenza di linguaggio. Molte delle migliori opere italiane degli ultimi due decenni appartengono a quella sfera creativa (l’ammirevole L’amore molesto di Mario Martone, La guerra di Mario di Antonio Capuano, i film di Paolo Sorrentino). Stefano Incerti ne fa parte, e il suo ultimo film, Gorbaciof, lì si radica. Racconto brevissimo, tutto centrato su un unico personaggio, narrato tramite un’attentissima regia che “fa dimenticare” la sceneggiatura. E’ sempre un buon segno quando la scrittura sparisce nella realizzazione in immagini. Poco ricorso al dialogo, narrazione “fisica” di un personaggio brutto e umano, che tiene il racconto solo con la forza di se stesso.
Incerti conduce ai livelli più essenziali ed espressionistici possibili quella tensione narrativa che da sempre contraddistingue la sua scuola. Gorbaciof utilizza un canovaccio da noir, tenendosi dentro la convenzione ma prosciugando il racconto degli strumenti espressivi propri alla convenzione stessa. Perciò, rifiuto della drammaturgia, della peripezia stringente, dell’evidenza e della sovraesposizione dell’intreccio in favore di un racconto di fatti e azioni. E, badate bene, senza rifugiarsi mai nell’astratto racconto di genere. Perché al tempo stesso, tramite le griglie di una narrazione così stilizzata, passa Napoli, un contesto sociale, una realtà mai data per scontata e nemmeno confinata in fondale asettico, bensì vissuta per mezzo dei personaggi. Solo e soltanto acquisendo Napoli come sorta di “categoria morale” a priori la vicenda di Gorbaciof s’incarna e motiva se stessa. Niente è insistito né didascalico, nemmeno il momento più forte del film (quella porta che si spalanca rivelando la professione del carognissimo giocatore d’azzardo). Certo, la coerenza stilistica di una scuola rischia sempre un po’ la maniera e la ripetitività. Anche Gorbaciof non è immune da questo. Ma nel caso della “scuola partenopea” non ci troviamo di fronte alla progressiva cristallizzazione di tratti estetico-narrativi sempre più volgarizzati, ciò che accade in una vera deriva manieristica. Si tratta invece di una solida e rocciosa ispirazione, che ripete se stessa ma sempre secondo chiavi personali. Incerti, oltretutto, non pesca soltanto in una retorica autoctona, bensì tiene presente anche il noir americano, le spirali tragiche alla Carlito’s Way, anche un certo gusto per gli intrecci da serie B (la bella da salvare…), e non disdegna cenni di grottesco. Vera coscienza cinematografica, che travalica la convenzione a cui pure sceglie di aderire.