Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
Amici miei – Come tutto ebbe inizio di Neri Parenti: non remake, né prequel. Forse omaggio, ma secondo una lettura superficiale e affrettata
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
18/03/11 – Che Amici miei – Come tutto ebbe inizio non fosse una grande idea, abbiamo iniziato a pensarlo fin dal momento in cui fu annunciato il progetto. Pronti e disponibili, assolutamente, a essere smentiti dal film, se del caso. Adesso che il film l’abbiamo visto, i dubbi rimangono. Resta, innanzitutto, un dubbio primario. Perché? Al di là delle ragioni meramente commerciali (che già di per sé costituiscono “ragione” in una logica industriale), l’interrogativo più forte e più radicale rimane sulla natura dell’operazione, anche e soprattutto per le scelte di sceneggiatura. Non remake, ma nemmeno vero prequel. La definizione più aderente potrebbe essere “omaggio”, ma se tale era l’intenzione degli autori, l’occasione è improvvida e sbagliata. La premiata ditta Brizzi&Martani in sede di sceneggiatura, infatti, mostra di aver equivocato lo spirito, gli umori e le ragioni profonde del film di Mario Monicelli, confondendo in primo luogo la “commedia” col “comico”. Se nell’originale avevamo cinque personaggi che utilizzavano la burla feroce per fuggire dalle responsabilità dell’età matura e dallo spettro della morte, qui abbiamo figure che declamano sommariamente le stesse motivazioni, ma poi sfruttano l’occasione della burla per mettere in piedi situazioni di puro comico. E, se la scelta del comico è infedele rispetto all’originale ma di certo non per questo condannabile, tuttavia rimane un dato di fatto piuttosto importante. Che non si ride.
In questo senso ci sembra pertinente la difficoltà d’identità dell’operazione. Se si trattava di ripercorrere un classico a mo’ di canovaccio per fare facilissima comicità, l’operazione poteva ancora reggere, a suo modo. Gli autori, invece, si mostrano premurosi di evitare il pecoreccio, attenti e scrupolosi nella filologia (la ricostruzione storica non è affatto da buttare), addirittura politicamente corretti con l’inserimento di un compare omosessuale, ma mancano del tutto l’obiettivo della risata. Colpa, anche, di un dialogato svolto in ripresa come col freno a mano, con ritmi inspiegabilmente rallentati, forse per piegarsi al bilancino dei primi piani concessi in modo equanime alle cinque star protagoniste (che in effetti nelle scene corali si spartiscono spesso un montaggio di primi piani assolutamente pretestuoso).
C’è un altro equivoco più endemico alla struttura narrativa. Anche l’originale di Monicelli si adagiava in un andamento episodico e disomogeneo, ma a tenere tutto insieme emergevano profili umani forti e significativi. Nel film di Parenti, invece, le singole burle si susseguono una dopo l’altra senza vere ragioni narrative, risultando scollegate e totalmente occasionali. E non le tengono insieme, men che meno, i cinque personaggi, ridotti a nient’altro che funzione narrativa. Non li si distingue uno dall’altro, se non per sommissimi capi brevemente riassunti nell’incipit. Tale riproposizione acritica ed equivocata della struttura originale raggiunge il suo apice, poi, nell’affrontare la morte, qui ripercorsa nel finale come da manuale Cencelli sul cinema monicelliano, ma giungendovi secondo un tracciato posticcio e affrettato. Nessuno dei compari di Monicelli sarebbe corso a fare un’altra burla durante il funerale di un amico morto per causa loro. Mai, se per causa loro.