Parola al Cinema – Uno sguardo sulla sceneggiatura
“La città verrà distrutta all’alba” di Breck Eisner: tempi magri per le narrazioni horror americane, ma, almeno stavolta, sano spirito anni ’70
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
30/04/10 – La nostra epoca non ha più orrori da raccontare. Almeno a giudicare dalla sfiatata creatività americana in ambito di narrazioni horror, esclusa qualche grassoccia macelleria stile Saw o Hostel, in cui non esiste praticamente più narrazione, bensì solo accumulo di varie schifezze. Ma l’orrore derivante dallo scontro con l’altro-da-noi che è sempre in noi, se non fosse per i meriti dell’attuale cinematografia sudcoreana e poco altro, non farebbe più parte del nostro mondo. Come spiegarsi, altrimenti, il continuato saccheggio di cinema horror pregresso che gli attuali sceneggiatori statunitensi compiono sui classici anni ’70 – ’80? Da qualche stagione il remake impazza: dal rifacimento dell’attuale horror asiatico, alla riproposizione di classici americani nemmeno vecchissimi, di cui spesso gli autori dell’originale sono ancora vivi, vegeti e operanti nel mondo del cinema. Vale davvero la pena fare già adesso remake tratti da Wes Craven, John Carpenter, George Romero? Al di là della mortificante tendenza (e non vale a niente nascondersi dietro la foglia di fico che si devono raccontare i classici alle giovani generazioni: assai meglio sarebbe che i giovani si andassero a cercare e vedere gli originali), quel che più sconforta è la nuova retorica espressiva secondo la quale il genere-remake horror del 2000 è di volta in volta impostato. Sopra ogni cosa, ricorre una costante opera di ripulitura dell’originale, che è ricondotto a cliché narrativi e visivi assolutamente inerti e impersonali. Anche gli horror anni ’70 e ’80 erano considerati e magari concepiti (erroneamente) come “prodotti da teen-ager”, ma evidentemente i teen-ager negli anni son cambiati e adesso, per estremo paradosso, trionfano il politicamente corretto e l’estetica da serie televisiva anche in mezzo alla presunta violenza dell’horror (basti vedere, uno su tutti, il ridicolo rifacimento di The Fog diretto da Rupert Wainwright). Orrori ripuliti, massificati, pronti per il litro di coca-cola e il cartone di popcorn da due tonnellate.
Onore al merito, allora, a La città verrà distrutta all’alba di Breck Eisner, modestissimo mestierante con alle spalle un paio di film assolutamente dimenticabili, che in un contesto di narrazioni-remake così anonime e insulse ha tentato, quantomeno, di mantenere lo spirito del vero horror anni ’70. Fin dalle prime inquadrature si avverte subito la sensazione di trovarci di fronte a un prodotto più serio, più accurato e consapevole della media. Riprendendo un film di George Romero del 1973 (nemmeno tra i suoi più famosi), Eisner e i suoi sceneggiatori scelgono innanzitutto di narrare, di tratteggiare rapidamente i due protagonisti e poi gettarli in un racconto stringente e tutto basato sulla suspense. Vi è tanto cliché, ovviamente, e non solo romeriano. Di horror basati su pochi personaggi da soli contro tutti, contro i mostri e contro le forze armate, se ne sono visti molti, e di quei mirabili esempi, fondati su una sorta di triplice unità narrativa (azione/tempo/spazio: in questo caso fuga/una giornata/la città), Eisner ripercorre scolasticamente gli snodi narrativi. Però è avvertibile un approccio più serio e professionale. La suspense non perde un colpo, radicata in una logica di “infinita peripezia” che tuttavia è ben mascherata e non rischia mai di produrre stanchezza. La macchina da presa è nervosa, spesso è utilizzata la macchina a mano e la fotografia ricerca preziosismi veristici piuttosto rari nel cinema di genere. Ma il dato più importante è la sostanziale fedeltà all’idea di cinema horror di George Romero. Nella goliardica sguaiatezza di alcune sequenze (il protagonista che rischia di perdere le pudenda a causa di una mola fuori controllo) Eisner dimostra di aver visto e ben meditato su molto cinema del suo autore-modello. La narrazione di Romero, specie nelle sue prime opere all’insegna del risparmio produttivo, impasta sempre l’horror con la truculenza goliardica, non ha mai paura dell’iperbole né del declassamento estetico nella serie B. Orrore e scanzonatezza, trucidità assortite e risata libera.
Anche la narrazione apocalittica, gli spettri dietrologici, anarcoidi e vagamente qualunquistici che spesso sorreggono le storie horror di quegli anni (qui, ad esempio, il complotto batteriologico e la violenza del potere politico) sono condotti da Eisner con pieno rispetto del modello. Rispetto che, certo, impedisce qualsiasi variazione personale, “d’autore”, su un materiale narrativo preesistente. Non si può certo dire che si tratti di un buon film in assoluto, ma sempre meglio mostrare di aver capito il racconto da cui si parte piuttosto che ridurlo al grado zero di una visione amorfa e insignificante.